“La montagna mi guarda”, diceva Paul Cézanne dipingendo per l’ennesima volta la montagna di Saint-Victoire, ossessione della sua vita. Potrei dire un po’ la stessa cosa per il Monte Corrasi di Oliena, Sardegna centro-orientale, che ogni giorno “sorge” davanti a me non appena volgo lo sguardo fuori dalla casa in cui abito. E lo potrebbero dire milioni o miliardi di altri abitanti di tutto il mondo, ognuno con il suo monte da guardare e da cui essere guardato.

Adesso, qui a Nuoro, guardando dalla finestra o dal balcone c’è il Monte Corrasi; prima, e per oltre trent’anni a Milano, c’era un palazzo di otto piani. Dalla facciata chiudente della grande casa di fronte al paesaggio aperto del monte distante. Due visioni agli antipodi, ma alimentate entrambe dal desiderio di guardare e dalla sensazione di essere in qualche modo guardato da ciò che guardo. Anche nei nostri sguardi rivolti alle cose apparentemente inanimate, c’è sempre una forma di reciprocità, di scambio, di comunione. Lo dicevano Lacan e Merleau-Ponty: le cose ci guardano.

Due visioni a confronto: dal balcone della casa da Milano (a sinistra) e da quello della casa di Nuoro (a destra)

24 vedute fotografiche del Monte Corrasi

Ma cosa vuol dire, più precisamente, che la montagna mi guarda? Non vuol dire che la montagna ha occhi per vedermi o, secondo un animismo ancora più spinto, che è lei a vedere me e non io a vedere lei. Vuol dire semplicemente che la mia visione della montagna non dipende soltanto da me, ma anche dalla montagna stessa. Che esiste un momento in cui la montagna, da laggiù, desta la mia visione, accende il mio sguardo, mi emoziona. Io allora sono la montagna, la montagna è in me. Si tratta di capovolgere l’abituale visione antropocentrica, il dualismo tra soggetto e oggetto, osservatore e osservato, sviluppando una nuova consapevolezza dello sguardo. Non sono che io prendo la montagna, ma è la montagna che prende me.

Negli ultimi due anni ho accumulato quasi duecento fotografie del Monte Corrasi, scattate dal balcone di casa sempre con la stessa inquadratura e lo stesso obiettivo. Una sorta di produzione seriale, ma di qualcosa che cambia continuamente. Ventiquattro di queste immagini, non necessariamente le migliori, sono confluite nel video fotografico riportato alla fine dell’articolo.

Al variare delle stagioni e dei diversi momenti della giornata, della luce e del tempo,  la visione del Monte è molto spesso accompagnata da quella delle nuvole. Queste lo incappucciano, lo ammantano, lo nascondono, parti integranti e mutevoli della sua forma, del suo apparire. A volte voli di uccelli, un arcobaleno, la scia di un aereo, la luna. E Oliena sempre là, alle pendici, placidamente distesa come il suo monte. Un monte che è in realtà un vasto massiccio montuoso, una grande muraglia di roccia calcarea, che si fa orizzonte dello sguardo. Come il mare, non lontano, da cui sorge il sole.

Nel breve istante dello scatto, la montagna che mi guarda passa quindi dalla condizione di immagine percepita “saltata all’occhio” a quella di immagine riprodotta o riproducibile divenuta pensiero, che potrà incontrare altri nuovi sguardi. E tutte le volte, anche a prescindere dagli scatti fotografici,  è come vedere il Monte Corrasi per la prima volta, sempre diverso dalle volte precedenti.