Elisa Radice ha abitato e vissuto a lungo nel primo quartiere operaio di Via Solari edificato dalla Società Umanitaria di Milano tra il 1905 e il 1906. Per tipologia costruttiva, decoro e concezione dell’abitare, il quartiere si differenzia radicalmente dall’edilizia popolare vigente in quegli anni. Vi trovano inizialmente alloggio circa 1000 persone, le cui abitazioni sono dotate di servizi interni all’epoca inimmaginabili per delle case popolari. Il complesso è inoltre dotato di servizi comuni, come le docce e i bagni, nonché di negozi (macelleria, farmacia, ristorante). Un’attenzione particolare viene nel tempo rivolta agli spazi culturali e ricreativi (biblioteca, università popolare, sala da ballo, ecc.). La gestione del quartiere s’ispira ai valori e alle pratiche dell’autogoverno e del mutualismo. Fra il 1945 e il 1950 nasce la cooperativa dei soci abitanti dell’Umanitaria. Il quartiere è da sempre caratterizzato da un forte senso di appartenenza comunitaria e da uno spiccato orientamento democratico e antifascista. Una bella e sintetica ricostruzione della storia del quartiere operaio di Via Solari 40 è contenuta in MeMoMi, la memoria di Milano. 


Elisa Radice (1936)

Sono Elisa, sono nata a Milano. Ho abitato per 50 anni in via Solari, nelle case del primo quartiere Umanitaria. Per me è la casa più bella di Milano, perchè era un quartiere con duecento famiglie circa ed era una piccola città. In queste case c’era di tutto, dalla biblioteca al lavatoio, i bagni pubblici, la sala da ballo, il teatro. Era una comunità molto affiatata. E mi è stata di esempio per tutto il lavoro che hanno fatto le donne nel periodo della guerra con l’aiuto dato alle famiglie che avevano gli uomini a militare oppure partigiani.

Tra i tanti partigiani che abbiamo avuto c’era la famiglia Quercioli. Elio Quercioli è poi stato il vice sindaco di Milano. I Vegetti, un’altra grande famiglia, il figlio adesso è professore a Pavia. C’erano anche i fascisti, anche dei delatori, che li abbiamo riconosciuti, ma nella maggior parte erano socialisti e antifascisti.

Del periodo della liberazione, io ricordo che mia mamma non voleva che si uscisse di casa, anche perchè io ero abbastanza curiosetta. I tre martiri di Giambellino io li ho visti là stesi per terra. Adesso c’è una casa, allora invece c’era un prato.

Non avevamo la mutua, avevamo il medico condotto. Andavamo a fare la ricetta al casello di Porta Genova, mentre le medicine andavamo a prenderle al casello di Porta Ticinese. Io con mio fratello più piccolo, che aveva 5 anni meno di me, facevo via Solari, via Savona, il ponte sopra la ferrovia di Porta Genova. E lì avevamo un morto qua, un morto qua, un morto qua, un morto qua. I primi tempi chiudevo gli occhi a mio fratello, poi alla fine era diventata un’abitudine.

Vecchia immagine del 1° quartiere popolare di Via Solari di Milano realizzato dall’Umanitaria tra il 1905 e il 1906.

C’erano due o tre persone che avevano la radio in quel tempo. E c’era un signore al piano terra, che ogni volta che c’erano delle notizie importanti alzava a tutto volume, per far sentire la radio da un cortile all’altro. Perciò noi avevamo le notizie. Io però ero confusa. A scuola si parlava di banditi, che si nascondevano nelle pannocchie, nel grano turco, eccetera. A casa invece erano i partigiani. Erano questi o erano quelli? Io nella mia testa dovevo elaborare questi discorsi che sentivo a casa, perchè quelli che per la maestra erano i bandititi, a casa mia erano i partigiani.

Quando la radio ha dato la notizia della liberazione eravamo tutti fuori, perché i nostri partigiani la notizia l’avevano già… Una contentezza senza esaltazione, perché era penata questa vittoria, la si aspettava, la si voleva. Era pieno di feste da ballo, la banda, i giochi in cortile, i concerti. Lì avevamo il Beppe Mojetta, che era direttore dell’orchestra della Rai, a Torino, i fratelli e la mamma abitavano ancora lì, perciò li ricordo bene. Poi c’era uno che era andato a lavorare in America ed è tornato in Italia proprio per l’occasione. Era un regista, un figlio di questa casa. Era una grande festa, si ballava in continuazione. C’erano gli operai delle fabbriche della zona, la Sigma rubinetterie, la Riva Calzoni, la Cge, la Brown Boeri, quella dei contatori, la Siry Chamon.

I genitori di Elisa Radice, Adele Sala e Angelo Radice.