Sa Itria è il santuario campestre dedicato alla Madonna d’Itria. Sorge in territorio del Comune di Gavoi, sull’altopiano di Lidiana, a 10 chilometri dal paese, non lontano dai SS Cosma e Damiano, il santuario di Mamoiada.

“Itria” è la corruzione di “Odigitria”, il nome della Madonna venerata in tutto il Mediterraneo sin da epoca greco bizantina, che significa “colei che conduce mostrando la direzione”. Un luogo sacro per viandanti e pellegrini di origine antichissima, come attesta il grande menhir, detto sa Perda de Sa Itria, che si erge imponente come un obelisco nella zona alberata della grande “piazza” del santuario.

L’area è in buona parte recintata dalle cumbessias, piccole dimore temporanee in cui le famiglie gavoesi si trasferiscono per trascorrervi l’intero periodo novenario. Si prega, si mangia, si sta insieme. Sono semplici costruzioni in granito, ben tenute, e a guardarle restituiscono subito quel senso di comunità che pervade l’intero luogo. Vere e proprie appendici del paese, piene di storia e di storie anche quando sono vuote, le cumbessias costituiscono un tratto architettonico caratteristico dei santuari della Sardegna.

L’attuale chiesa di Nostra Sennora de Sa Itria, consacrata nel 1904, rimanda ad una chiesetta primitiva molto più antica, di cui conserva alcuni reperti. E’ in posizione defilata, un po’ nell’angolo, come se da lì volesse vedere meglio tutto quello che le sta e le accade intorno.

E’ in questo bellissimo luogo che mi sono recato la mattina di domenica 31 luglio 2022, giorno della grande festa di Sa Itria. Più come viandante curioso che come pellegrino fedele. Vi ero già capitato un pomeriggio di diversi anni fa, giungendo da una Gavoi completamente deserta. “Perchè è tutto chiuso e non si vede anima viva in giro?”, avevo chiesto a un raro passante. “Perchè sono tutti a Sa Itria, tutto il paese è là, per la festa”, mi aveva risposto.

L’area del Santuario di Sa Itria vista dall’alto – Fonte Google Hearth

L’ospite è sacro

E’ bello starsene seduti in solitudine sui sedili in pietra all’ombra dei magnifici alberi. Ascoltare il silenzio del luogo con il sottofondo delle voci di due bambini che scorrazzano in bicicletta. Guardare.

Intorno a mezzogiorno la vita del santuario inizia ad animarsi. In sa corte aumenta il via vai di persone indaffarate. In una cumbessia si macella la carne, in un’altra già la si cuoce da ore nei lunghi spiedi. Si apprestano un po’ dappertutto panche e panchine, tavoli e tavolate. Sono i preparativi per il grande pranzo della festa atteso da un anno, da consumarsi in tante comunità famigliari e amicali più o meno estese.

Anch’io finisco in una di queste comunità, riunita in un ovile poco distante, ospite di persone conosciute casualmente al chiosco del santuario, bevendo birra in lattina offerta dalle stesse. Gente di Gavoi, ma uno lavora a Siliqua, dove si è trasferito: Francesco, Gesuino e Donato, che è anche un bravo cantore.

La mitica ospitalità sarda è quel meccanismo in base al quale un istranzu, quale io sono, viene provvisoriamente inglobato nella comunità locale perdendo lo statuto di sconosciuto e acquisendo quello di amico. E’ una forma di regolazione dei rapporti tra diversi ispirata a un’etica della parità e del riconoscimento, che l’evento festivo di certo favorisce. Per tutto l’interminabile pranzo sono (quasi) un gavoese e mangio e bevo come un (vero) gavoese. 

Su Palu de Sa Itria

 

Poi, alle sette del pomeriggio, l’evento più atteso ed eroico: Su Palu de Sa Itria, una delle manifestazioni equestri più antiche e partecipate della Sardegna. Lo spettacolo è straordinario, con una folla incredibile accalcata dietro le transenne, i cavalli che corrono sulla pista circolare in terra battuta sollevando nugoli di polvere.

Su Palu è la rappresentazione plastica e fiammeggiante nelle luci del tramonto di quel bisogno di festa che continua a caratterizzare, soprattutto nel periodo estivo, la vita dei paesi sardi. Per qualche ora il dolce luogo in cui si svolge la corsa diventa il centro del mondo, intessuto di relazioni, tradizioni e memorie che si rinnovano ogni anno. Un centro in cui non si riversa soltanto “tutto il paese”, ma dove accorrono anche tantissime altre persone provenienti dal resto della Sardegna e magari dall’oltremare.  La festa di Sa Itria è insomma l’espressione palpitante del “glocale” Gavoi, che neanche un mese prima aveva animato  L’Isola delle Storie, il festival letterario della Sardegna che legge e che accoglie.