Ricetta Milano in due sensi. In senso alimentare, perchè Milano, con Expo 2015, ha posto la sfida di come sia possibile oggi nutrire il pianeta a partire da un’alimentazione sana, sufficiente e sostenibile. Il buon cibo, fatto di buoni ingredienti e di buone pratiche, come leva del cambiamento, dell’innovazione tecnologica e sociale. E ricetta Milano nel senso di un’indicazione, di una formula, di un comportamento pubblico capace in qualche modo di favorire la convivenza e lo scambio tra popolazioni provenienti da ogni parte del mondo.

Milano un po’ come il medico di famiglia, quindi, che cerca di prendersi cura delle paure e dei malesseri di una società messa sottosopra dai flussi migratori imponenti e inarrestabili innescati dalla globalizzazione, dalla miseria, dalle guerre. Un mare di lutti e rovine, di vite e luoghi perduti. Una follia. Milano prova a rispondere a questa complessità immane e dolorosa, con la sua ricetta di buon senso. Non sempre ci riesce, ma almeno ci prova, da città aperta e accogliente  come sempre è stata.

E così ricetta Milano diventa le ricette del mondo, che incontrano il mondo senza muri alla grande tavolata interetnica di parco Sempione di sabato 23 giugno 2018. Quasi tre chilometri di tavoli conviviali, migliaia di bocche e di voci, centinaia di culture diverse. Una festa nel senso pieno della parola, una festa nella città e per la città. Come i centomila di Nessuno è illegale, il corteo multietnico promosso l’anno scorso da Insieme senza muri. Come la stessa festa del 25 Aprile, della Liberazione d’Italia, che con i corpi e i desideri dei migranti si fa liberazione del mondo. 

Parco Sempione

Mi perdo a malincuore la bella tavolata del pranzo di mezzogiorno, vado nel pomeriggio, a tavoli ormai vuoti, ma con il parco ancora vivo di balli e presenze. Sul prato antistante il Teatro Continuo di Burri si è radunata una folla numerosa che ascolta sotto il sole di una giornata calda e luminosa i discorsi provenienti dal palco. Registro immagini, parole, applausi, osservando la gente tra i rami e le foglie delle piante. Un visione verde, come in un bosco.

Per ultimo parla Roberto Saviano, qualifica l’orco Salvini ministro della malavita, dice che bisogna stare uniti, stare insieme. Non lasciarsi prendere dalla paura serpeggiante tra le persone in questi tempi umbratili di post-democrazia autoritaria, populistica, nemica più degli zingari che dei post-fascisti. Stare tutti insieme, alzare la testa, riprendersi la propria voce libera contro il mantra fobico del capo. Lui sì che ha paura.

Non lo frequento spesso, ma Parco Sempione mi sembra essere diventato, nel corso degli ultimi dieci-vent’anni, uno dei posti più belli di Milano. Una scena urbana animata e solare fatta di tante persone che fanno tante cose: sui prati, in mezzo ai bellissimi alberi, lungo i viali, tra i giochi di luce e di ombre, i riflessi dell’acqua, i fiori. E le panchine, le tante panchine delle donne che leggono al parco. Un sorta di luogo della serendipity milanese, dove s’incontra sempre qualcuno che non si conosce, si trova qualcosa che non si cerca. 

Parco Sempione è oggi crocicchio di tante storie e culture, luogo condiviso dalla moltitudine delle comunità straniere. E’ qui che i migranti costruiscono i loro spazi di incontro e socialità, tessono reti e relazioni, imparano a conoscere la città.  Per il soggetto migrante il parco è luogo privilegiato della sua esperienza di vita in un paese lontano e sconosciuto. E’ luogo dell’abitare, componente importante della propria identità in cambiamento. Parco Sempione è l’anima della ricetta Milano.