La flora selvatica rappresenta una componente sempre più costitutiva del paesaggio urbano contemporaneo. Mentre la vita activa langue o si arresta del tutto, sequestrata dalla pandemia di Covid-19, le erbacce invadono le città. Succedeva anche prima, ma non così. Notiamo stupiti e un po’ inquieti la forza espansiva e rigogliosa di queste “vagabonde”, come le chiama Gilles Clément, che camminano e vivono con noi, rimescolando i confini tra natura e cultura, campagna e città. “Le piante viaggiano. Soprattutto le erbe”, scrive il grande giardiniere paesaggista francese. Viaggiano con il vento, le nuvole, gli uccelli, i treni, le merci, le suole delle nostre scarpe, le zampe dei nostri cani. Il movimento migrante delle piante e delle erbe è inarrestabile, come quello degli esseri umani.

Mi fermo ad osservare la grande formazione di malva spontanea cresciuta in un cortile colonizzato dalle erbe. Inizio a fare il primo video con lo smartphone, perché le grandi foglie verdi della malva si muovono sbattute dal forte vento di maestrale, generando forme danzanti belle a vedersi. Tutto intorno ondeggiano gli steli di un’erba folta e altissima, i fiori gialli del tarassaco onnipresente. C’è un senso di energia, di vita. 

Prima o poi arriveranno i manutentori e i pulitori, le lame e i rastrelli, e questa questa flora selvatica esplosa con il virus finirà in buona parte nei sacchi della spazzatura. Peccato. E’ che le “vagabonde” devono stare al loro posto, non superare certi limiti di decenza e di sicurezza. Non devono essere troppo invadenti e incontrollate, troppo numerose e prossime alle nostre case, perché allora diventano un problema, si fanno “infestanti”. Un po’ come gli stranieri, che pretendono spazi e magari portano anche le malattie. E allora è meglio che vada subito a caccia di erbe con il mio smartphone, perché non so, se una volta ripulita, avrò modo di rivedere una città così selvaticamente bella come mi appare in questi giorni.

Selvatico urbano

“Tutto quello che viene guardato prende vita”, afferma ancora Gilles Clément, che ci invita a guardare le cose con “stupore”. Farsi sorprendere da un’ortica come se la vedessimo per la prima volta, immergersi nel mistero di una realtà animata da infinite presenze. Io sono l’ortica che si pensa in me, una mistura di vegetale e umano. Io sono un albero, una nuvola. Questo è il primo passo di tutti i cammini, il passo ogni volta più difficile, perché significa camminare con uno sguardo accogliente capace di prendersi cura delle cose che vede. “Non pensare, ma osserva”, dice Wittgestein. “Bisogna guardare, guardare e guardare ancora”, aggiunge Balthus. 

Ho quindi ripreso le mie video esplorazioni vegetali, iniziate nel 2016 al mare di Orosei con Elymeto, le umili piantine nelle spiagge assolate dell’estate, e proseguite nel 2018 a Milano con Alberi di strada. Adesso sono due mesi e più che giro con lo smartphone lungo le strade, i marciapiedi, le scarpate, i terrain vague di Nuoro, tra spazi aperti e costruiti. La flora selvatica è a mille, gioiosa, perché nel frattempo è arrivata la primavera, la sua stagione. Nuoro, dove ora vivo, è una città disposta su una conca solatia circondata da boschi e montagne. Appena fuori, già sulle propaggini dei colli più o meno urbanizzati, inizia la selva. Le nostre belle vagabonde qui sono di casa, vanno e vengono come i pendolari che fanno la spola con i paesi del circondario. E’ nato così un nuovo progetto video, che ho voluto denominare “Selvatico urbano”, dando luogo a una sorta di personale trilogia botanica. 

Nuoro, panorama

I video

Filmare e raccontare la flora selvatica di città non è semplice. Ci avevo già provato nel Febbraio scorso  con il video Third Landscape, da cui è subito nato il desiderio di proseguire con le nuove e più articolate osservazioni di Selvatico urbano. A differenza dell’albero, l’erba non fa luogo, né ombra né magia, la sua forza di attrazione  è molto modesta. E nemmeno possiede il fascino discreto del giglio marino che biancheggia sull’Elymeto sabbioso di fronte al mare. Disegna semmai uno spazio indeciso e invisibile, pur essendo un po’ dappertutto, mescolandosi agli umani. A volte è in alto, sui muri o sui tetti, ma più spesso è in basso, tra i piedi. L’erba è lì, muta e testarda, per noi più oggetto inanimato che essere vivente, ma non per le api e gli insetti che la abitano. La sfida è propria questa: dare voce alle misconosciute erbe di città, cercare di raccontarle e contribuire così a fare in modo che gli spazi da esse occupati  possano diventare luoghi di nuovi incontri e relazioni.  Farsi luogo facendosi paesaggio: del resto, e non per caso, questo sito si chiama Fareluogo. 

Selvatico urbano sarà articolato su un certo numero di brevi video, ciascuno dei quali si focalizzerà su un determinato modo della flora selvatica di stare e vivere in città. L’idea è quella di comporre una sorta di mappa audio visiva delle erbe come abitanti della città, ovvero dei loro diversi habitat urbani (strade, marciapiedi, muri, cortili, incolti, ecc.). Come è mio solito non farò ricorso alle interviste e alla voce narrante in fuori campo, che non amo. Il selvatico sarà anche un selvatico sonoro, fatto sopratutto di rumori e suoni ambientali,  voci  vaganti registrate al volo, sospiri della terra.

Albrecht Dürer, La grande zolla, 1503. La magnificenza delle erbe selvatiche.

Strade e marciapiedi

La flora selvatica popola le vie delle nostre città.  Cresce lungo i bordi delle strade e i marciapiedi, costeggia in basso i muri delle case, punteggia gradini e scalinate, sporge da ringhiere e reticolati.   Ama sistemarsi ai piedi degli alberi e quando questi vengono abbattuti ne prende il posto generando delle piccole aiuole.  Camminare in città  – qui a Nuoro,  sopratutto  ai tempi del Covid –  è  spesso un camminare tra corridoi d’erbe. 

E’ sufficiente una crepa, una fessura minima, un piccolo affossamento, una pavimentazione dissestata con tracce di terriccio e materia organica, di umidità, e subito la vita vegetale s’insedia, tracciando rizomi verdi nel grigiore nelle strade. E’ come se la natura premesse sotto i nostri piedi, sotto il bitume, il cemento, le mattonelle, le coperture in ferro dei tombini. La selva oscura è nel sottosuolo e ci ascolta. Affiorano così, da una terra mai del tutto sepolta, paesaggi minuti, specie di bonsai, spesso sorprendenti per forme e colori, cui di solito non prestiamo la minima attenzione.  Per noi è solo il grado zero dell’inutile mondo delle erbacce. 

A questi infiniti micro paesaggi della flora stradale spontanea, miracolosi per il solo fatto di esistere,  è dedicato il primo video di Selvatico urbano,  iniziato precedentemente  a quello delle erbe in una giornata di vento ma finito dopo. Quel giorno di forte maestrale le vagabonde danzati di Nuoro chiamavano e non seppi resistere. Nel video, i  paesaggi minimalisti delle erbe di strada non sono mai soli, ma fanno parte di paesaggi più vasti, intrecciandosi con altre presenze, con i luoghi, le case, i rumori, i suoni e le voci della città. 

Nuoro, 3 Maggio 2021