La via Giambellino di Milano unisce piazza Napoli a piazza Tirana, nella periferia sud-ovest della città, ed è lunga più di due chilometri.  E’ completamente diritta, attraversata al centro dai binari del tram 14, che guardando verso piazza Tirana sembrano perdersi nel vuoto. Questo interminabile rettifilo dà come un senso di vertigine, di spazio che fugge.

Il Giambellino è un quartiere lineare di case popolari o di piccolo ceto medio, una striscia urbana oggi abitata da molti immigrati stranieri, che si aggiungono alla presenza storica degli immigrati italiani. Fino agli anni ’60 del Novecento era anche un luogo famoso della “ligera” milanese, capitanata dal mitico bandito Renato Vallanzasca. Adesso, al posto della “ligera” c’è la meno romantica mafia, che però è ormai in tutta Milano.

La zona conosce da sempre forti tensioni abitative, che si manifestano periodicamente in occupazioni delle case cosidette illegali con relativi sgomberi da parte della polizia in assetto antisommossa. Nell’aprile di questo 2015, poco prima dell’inaugurazione di Expo, è stata sgombrata anche la sede del comitato degli abitanti.

La via si divide in due tronconi nettamente distinti. Da piazza Napoli all’incrocio con via Brunelleschi è un viale ombroso di alti platani fiancheggiato  da palazzi degli anni venti-trenta dove può essere gradevole passeggiare. Dopo l’incrocio gli alberi spariscono, una luce abbagliante inonda la strada, i binari del tram spiccano come solchi rugginosi in una terra brulla e assolata, si entra nella vera e propria periferia cresciuta dagli anni ’50 in poi, che presenta evidenti tratti di degrado. 

Flaneur al Giambellino

I giorni 24, 26 e 29 di giugno del 2015, dalle 17 alle 19, ho camminato avanti e indietro lungo tutta la via, fotografando le pensiline delle otto fermate del tram, dove le persone si raccolgono in attesa trascorrendo insieme qualche minuto. Piccoli gruppi effimeri, che si formano e si sciolgono seguendo il ritmo degli arrivi del tramvai. Formazioni in transito costituite da traiettorie individuali diverse, che sembrano partire in buona parte da questi luoghi per poi ritornarvi.

Mi è piaciuta l’idea di osservare e fotografare, stando a distanza, queste cellule sociali provvisorie incorniciate dai riquadri delle pensiline delle fermate, che sono come dei palcoscenici del teatro della vita che scorre nella strada. Luoghi in cui questa vita si raccoglie, si mette temporaneamente in mostra. Sono come delle fotografie di gruppo, dove ciascuno dei componenti un po’ si racconta, con il proprio corpo, la postura, l’abbigliamento, gli oggetti che porta con sè.