“Funtana ‘e Milianu” e “Sa ‘e sos Frores” sono i nomi o toponimi di due luoghi del monte Ortobene poco distanti l’uno dall’altro, un quarto d’ora a piedi lungo il sentiero 101. Milianu è l’acqua che sgorga dalla roccia, sotto la frescura degli alti lecci. Secondo un detto nuorese quell’acqua “torrat su mortu a bibu”, resuscita il morto, perché l’acqua è vita e “sa di amore” (Mario Ciusa Romagna). Frores sono le rocce scolpite dal vento, traforate a volte come degli alveari, dei nidi. Vento e acqua che lavorano insieme dall’eternità, plasmando la pietra, memoria del mondo. Ma anche “quei ciclopi che in epoche ignote sovrapposero le rocce dell’Orthobene trasformandole nelle cime con nicchie e occhi, attraverso cui ride il cielo” (Grazia Deledda). Sono le rocce misteriose e mitologiche amate della grande scrittrice: le rocce di Grazia.

Il riposo e la fatica

Sino a un tempo recente, molto più di oggi, i nuoresi, specie d’estate, “salivano“ al Monte, a “Funtana ‘e Milianu”, non solo per dissetarsi con “la vera acqua”, ma anche per mangiare e stare insieme. La fontana era un luogo di socialità, di giochi e narrazioni, di sguardi innamorati, di voci gorgoglianti come lo scorrere dell’acqua nella roccia. Milianu era la terra del riposo, la festa.

Frores era invece la fatica, il duro lavoro dei “secaprederis”, i tagliapietre, di uomini “capaci di leggere l’intimità della roccia” (Domenico Ruiu). Intorno a “Sa preda” – la roccia “occhiuta”, forse la più bella di tutto l’Ortobene – sono ancora oggi evidenti i segni di quell’attività. Il Monte era la cava di Nuoro. Da Frores, come da altri luoghi, provengono i blocchi di granito del selciato di Corso Garibaldi, delle case di Santu Predu, della bellissima piazza Sebastiano Satta di Nivola. Erano portati giù, nel paese che cresceva, dai “carrulantes”, altri grandi uomini di quell’epoca di fatica. Non era solo Nuoro che saliva al Monte, ma anche il Monte che scendeva a Nuoro. E mentre i Nuoresi lo guardano dal basso, lui li osserva dall’alto, ogni giorno, ogni istante. Il Monte è sempre “là”.

E dappertutto il bosco, avvolgente, con le ombre e i bagliori danzanti mossi dal vento, le chiome degli alberi che si congiungono in alto formando “una volta mobile” (Grazia Deledda) sopra la testa del viandante. Un uomo con le bacchette, un altro con il cane, due ragazze, un bambino alla fonte. Camminare tra “Funtana ‘e Milianu” e “Sa ‘e sos Frores” è attraversare uno spazio magico, che sembra non finire mai, di un altro tempo