La memoria letteraria dei luoghi scomparsi può emergere da due narrazioni diacronicamente distinte. Il luogo scompare in un tempo successivo a quello del racconto oppure il racconto si riferisce a un luogo già scomparso da tempo. Nel primo caso si tratta, per così dire, di una memoria “postuma” generata dagli accadimenti storici, nel secondo di una memoria rievocativa generata intenzionalmente dallo scrittore. La parola, la scrittura, posatasi sui luoghi spariti ne rende presente l’assenza, fa in modo che i luoghi non muoiano mai anche quando non ci sono più. Tutto è memoria, diceva Ungaretti.

I luoghi scomparsi di Nuoro sono molti. A volte per incuria, più spesso perché vittime innocenti della famosa “sindrome demolitoria” che si scatenò soprattutto negli anni settanta del secolo scorso, colpendo anche edifici di indubbio pregio architettonico. Un passato oscuro di cui liberarsi in fretta e furia per far posto a  un’avvenire radioso.  La città “risorgerà più bella e più grande che pria”, inneggiava Petrolini a proposito di Roma imitando l’incendiario Nerone. Aggiunge Mario Corda, con riferimento a Nuoro: “Più grande sicuramente, più bella non credo” (M. Corda, Corso Garibaldi. Frammenti di cultura nuorese).

La mappa dei luoghi scomparsi

La Mappa Letteraria di Nuoro raccoglie ad oggi oltre ottanta citazioni relative a venti luoghi scomparsi della città riportati nella mappa sottostante. Con l’aiuto della “cartina” – e rinviando alla mappa generale per la lettura integrale delle singoli citazioni – possiamo ora intraprendere un breve viaggio letterario in alcuni di questi luoghi della Nuoro “cancellata”. A iniziare dalle antiche  e rimpiante fontane di un tempo. Queste non solo fornivano un bene essenziale per l’esistenza delle famiglie, ma rivestivano anche un ruolo importante nella geografie delle relazioni comunitarie e nel disegno del paesaggio. Andando alla fonte si andava nel mondo.

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Funtanedda

La memoria letteraria dei luoghi scomparsi è fatta spesso di acqua corrente, simbolo essa stessa della memoria, del tempo che passa, della vita. Con la sua voce l’acqua di una fontana ci parla, racconta la terra, i luoghi, e riunisce intorno a sé le persone, le storie. Come “Sa funtanedda” di Isporosile, sotto la Solitudine, alle pendici del Monte Ortobene, lungo lo “stradale” che porta al mare. Uno scenario ancora oggi meraviglioso.

Era una fontana molto cara a Grazia Deledda, che ne parla in un bel brano di La via del male. Un luogo di socialità soprattutto femminile. “Intanto le donne chiacchieravano intorno alla fontana: una piccola bruna con un occhio bendato si lavava i piedi nel rigagnolo e imprecava contro la padrona lontana”. Donne serve, ma anche “belle ed agili fanciulle” che scendevano verso la fontana “con l’anfora sul capo come le donne bibliche” (G. Deledda, Cenere). E con i loro sospiri d’amore, come nella poesiola raccolta dalla grande scrittrice per il libro Tradizioni popolari di Nuoro in Sardegna del 1895. “S’abba ‘e sa funtanedda / na chi non tenet sapore. / Si mi tenes veru amore / cola inoche e faedda”. “L’acqua della fontanella dicono che non ha sapore. Se mi tieni vero amore vieni qui e favella”.

Tre porcellini accompagnati da un pastore si avvicinavano alla fontana per abbeverarsi. Dei ragazzi arrampicati sul muretto lanciavano pietruzze verso le fanciulle innamorate. Lo sguardo scendeva nella fertile Badde Manna per perdersi nei  lontani monti azzurrini della Barbagia. La vita “traboccava come l’acqua dalla fonte” (Bachisio Zizi, Lettere da Orune).

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Ubisti

Sulla vallata opposta, nel rione di Sa ‘e Sulis, mormorava la fontana di Ubisti. Era anche detta “Funtana ‘e sas Monzas”, fontana delle suore (Pietro Pala, Contos bos conto). Un piccolo componimento popolare ne esaltava le proprietà magiche. “In sa funtana ‘e Ubisti han accattau s’oro: naran pisti pisti e ohi ohi su coro”. “Nella fontana di Ubisti hanno trovato l’oro: dicono scotta brucia e oh il mio cuore”. L’acqua della fontana, con il suo elevato valore simbolico, accendeva  il cuore.

Sa funtana ‘e Ubisti è il titolo di una poesia di Franceschino Satta, che in quel luogo trascorse molte ore liete della sua vita di “pizzinnu” con “sa brocchittedda” piena di sogni. “Bos juro! mi pariat semper festa. / Inibe, solu solu / diventabo su mere ‘e sa foresta”. “Ve lo giuro! Mi sembrava sempre festa. Lì, solo solo, diventavo il re della foresta”. La poesia è del 1979 e la “fontana mondo”, ormai in disuso e travolta dallo sviluppo urbano, non c’era più. Ma forse qualche vecchio, sostando nel posto dove si trovava la fonte, “nt’intedet galu craru su murmuttu”, ne sente ancora chiaro il mormorio. La voce dell’acqua che sgorgava allegra dalla terra era la voce imperitura dell’infanzia perduta.

Questa immagine ha l'attributo alt vuoto; il nome del file è SaeSuliscollage-1024x576.jpegDue immagini del rione Sa ‘e Sulis fine anni ’50 – Fonte: foto di Janos Reismann postate in Facebook da Domenico Melia

Istiritta

La memoria letteraria dei luoghi scomparsi assume la forma poetica anche nel caso della fontana di Istiritta, immortalata da Pasquale Dessanai nel bel sonetto In s’abba (Alla fonte). “Fit una die ‘e iberru mala e fritta, / fit bentu, fit froccande a frocca lada…”. Era una brutta e fredda giornata d’inverno,  tirava vento, nevicava a larghe falde, e Mariedda, tutta intirizzita, rientrava con la brocca da Istiritta. La povera giovane, “dae sa fardettedda istratzulada” (dalla gonnellina lacerata),  inciampa, la brocca cade a terra e si rompe, spezzando anche il cuore di Mariedda come in un sogno infranto. Piange, sa che a casa, forse la casa dei suoi ricchi padroni, “l’avrebbero confortata a nerbate per restituirle temperatura e memoria” (Roberto Deriu, La pantera di Bultei). La fontana è anche dura fatica, acqua racchiusa nella brocca che grava pesante sul corpo e sull’anima. Per poche lire e un piatto di minestra.

Era grande e bella la fontana di Istiritta, sembrava “una grossa botte cilindrica col cappello” (Romano Ruju, Il salto nel fosso). Scomparve, insieme agli orti, alle vigne, alla campagna che la circondavano, inghiottita dalle case e dagli edifici del nuovo quartiere nato negli anni ’50. “La fontana venne giù senza un lamento”, ricorda Romano Ruju, “e si cominciò a vivere da estranei”. È una storia che abbiamo già raccontato in un precedente articolo. Un mio video ritrae la “fontana monumento” ricostruita nel 1998 di fronte a quella scomparsa, con la statua  di Mariedda sferzata dal vento gelido, la brocca a terra spezzata. Ma nella nuova fontana l’acqua non scorre più.

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Altre sparizioni a Istiritta

Poco più in su della fontana, salendo verso piazza Veneto, c’era una volta la misteriosa “Pietra ballerina”, ammirata da tutti i viaggiatori ottocenteschi che visitarono Nuoro. Un masso granitico enorme e dotato di  singolari proprietà, come di una “pietra incantata”: bastava spingerlo con una mano per farlo muovere. Il primo a descriverlo e a disegnarlo fu Alberto Alfonso Della Marmora nel suo Itinerario dell’isola di Sardegna del 1860. Alla fine dell’Ottocento, la pietra non ballava più, come recita la poesia Bibliografia forse attribuibile a Pasquale Dessanai. “So monte: oe so firmu / ma innantis ballaia, / cantigos nd’intendia / nd’intendo ancora”. “Son masso: oggi sto fermo ma un tempo ballavo, canti ne udivo e ne odo ancora”. Anche da ferma la grande Ballerina avrebbe continuato ad essere una meraviglia, un monumento naturale unico, collocato oggi nel cuore della città. Ma intorno agli anni ’30 fu fatta a pezzi dai “secaprederis” (tagliapietre) “per ricavarne cantoni da costruzione” (Massimo Pittau, Il Littorio a Nùgoro e in Sardegna). Nuoro, ancora fresca di nomina provinciale, guardava altrove.

Questa immagine ha l'attributo alt vuoto; il nome del file è Pietra_ballerina_nuorosebastuabiguiso-1024x656.jpgLa “Pietra ballerina” in una cartolina di Sebastiano Guiso, anni ’20 – Fonte: Wikipedia

Alla fine di via Veneto “su buzzidòrju”, il mattatoio. “Nel pubblico macello il fetore del sangue afferrava le narici già dall’androne della pesa” (Marcello Fois, Sangue dal cielo). Fu demolito nel 1981, macellato a sua volta. Poteva invece essere riconvertito in spazio culturale per i giovani, come è successo in altre città. Automobili e nuove case – prima di tutto.

In un articolo comparso sul settimanale “L’Ortobene” del 17 giugno 1979, Enzo Espa scriveva che i nuoresi “non vogliono una città che sappia di storia, in cui si legga la scansione dei secoli. I nuoresi demoliscono”. Viene da piangere a pensare alle bellezze – non poi così numerose – che Nuoro ha distrutto o lasciate nell’abbandono. La memoria letteraria dei luoghi scomparsi può contribuire – specie nei riguardi delle giovani generazioni – ad arricchire la conoscenza del passato. E quindi a sollecitare uno sguardo più consapevole e attento verso la Nuoro di oggi. La memoria è cura del presente, visione del futuro.

Le citazioni

Funtanedda: Grazia Deledda, La via del male e Tradizioni popolari di Nuoro in Sardegna // Nannino Offeddu, Immagini di Nuoro paese // Salvatore Ruju, Ritorno all’isola // Bachisio Zizi, Lettere da Orune   Ubisti: Paolo Francesco Berria, Vocabolario sardo nuorese-italiano // Pietro Pala, Contos bos conto // Franceschino Satta, Sa funtana ‘e Ubisti   Istiritta Fontana: Mario Ciusa Romagna, A Nuoro con Bernardino Palazzi // Roberto Deriu, La pantera di Bultei // Pasquale Dessanai, In s’abba // Enzo Espa, Nuoro non ama Nuoro // Ciriaco Offeddu, Deliberaciones // Romano Ruju, Il salto nel fosso   Istiritta  Pietra Ballerina: Vittorio Alinari, In Sardegna // Carlo Corbetta, Sardegna e Corsica // Alberto Della Marmora, Itinerario dell’isola di Sardegna // Pasquale Dessanai, Bibliografia // Massimo Pittau, L’Era fascista nella provincia italiana. Il Littorio a Nùoro // John W. Tyndale, L’isola di Sardegna   Istiritta Mattatoio: Anonimo, La demolizione del mattatoio // Marcello Fois, Sangue dal cielo.