Facce del metrò, metrò delle facce.

Il metrò è un dispositivo complesso dalle tante facce.  Genera immagini  di un mondo fisico appartenenti a una molteplicità di spazi, oggetti e segni diversi. Ingressi, scale, corridoi, muri, scritte, manifesti, planimetrie, vetrine, lampade, monitor, tornelli, carrozze, gallerie. Sequenze di flussi visivi compressi, accelerati, muti come delle scie vaganti nel cielo. Immagini in transito così familiari, reiterate, da non essere più viste dai nostri sguardi frettolosi. Nel metrò, spinti dall’urgenza di arrivare a destinazione, è impossibile vagabondare senza meta, essere flaneur. Il metrò è tra le strade, ma non è una strada. E’ un corpaccione artificiale, le cui vene e arti si possono solo attraversare, diventando il sangue che scorre nel sottosuolo. Un corpo di corpi, che è il corpo della città.

C’è poi il metrò degli umani, le facce del metrò,  oggetto del mio video. Nelle carrozze – nei nuovi treni non più separate, lasciando il posto a lunghi corridoi, specie di biscioni o millepiedi semoventi – si svolge la vera vita del metrò. Tanti corpi, tante storie, che si toccano e si sfiorano senza mai incontrarsi. Che anzi cercano, per quanto possibile nelle ore di punta, di tenere le distanze, contendendosi uno spazio vitale ridotto forzatamente e temporaneamente condiviso.  Carrozze di individui fuggenti,  che stanno con gli altri in una sorta di comunità  mobile del tutto effimera, priva di relazioni e di storia. Un aggregato mutevole, che cambia ad ogni fermata, fino a dissolversi completamente al capolinea. Per poi  subito ricomporsi, viaggiatore dopo viaggiatore. 

Faces

E tuttavia nel metrò si vive, seppure solo di sfuggita, un’esperienza difficilmente ripetibile in altri luoghi: l’esperienza del volto dell’altro. Così prossimo, così lontano. Stando per un certo tempo in una carrozza viaggiante della metropolitana, seduti o in piedi, ci si mostra all’altro, all’inevitabile sguardo del vicino. Si può chiudere gli occhi, dormire per la stanchezza, ma rimanendo sempre con il volto esposto e in all’erta. Un volto decentemente “messo in posa”,  teso all’imperturbabile,  ravvivato al più da qualche sorrisetto o sguardo fugace e circospetto.  Oppure assorbito – in tantissimi casi – dalla relazione con l’imperversante smartphone, che riempie il tempo vuoto, aiuta il contegno, la postura. Non più il libro e il giornale di qualche anno fa, ma un piccolo schermo portatile connesso con il mondo, con l’altrove. 

Le facce del metrò maggiormente intriganti sono forse quelle che comunicano un rimuginare, un pensiero in atto, una preoccupazione. Lo sguardo è fisso, assente, rivolto un po’ verso il basso, l’espressione del viso è seriosa e vagamente attonita. Ecco che un viaggio in metropolitana può diventare l’occasione per raccogliersi in sé stessi, elaborare immagini, ricordi, impegni, decisioni da prendere.  Il metrò non è per nulla un non-luogo contenitore di solitudini transeunti, ma uno spazio importante delle nostre vite quotidiane. Esso è parte integrante dell’immaginario collettivo urbano, della scena sociale che ciascuno di noi contribuisce ogni giorno a creare.