Renata Palocci (1926)
Abitavo in via Galeazzi Alessi 102, quartiere Torpignattara, Roma. Sopra di noi, il palazzo dove abitavamo, c’era questa ragazza, che aveva stretto amicizia con me. Quel giorno mi disse “Renata, vieni con me, mi fai compagnia? Andiamo a vedere l’arrivo degli americani”. E infatti siamo andati, a piedi, perchè mezzi non ne passavano, e arriviamo in via Nazionale. Da via Nazionale ci siamo inoltrati ancora più su e siamo arrivati verso l’Altare della Patria.
In quel mentre cominciava a passare l’autocolonna degli americani e si vedeva già tutta la gente in festa. Ragazze che salivano sulle camionette, soldati che buttavano cioccolati, sigarette: la via Nazionale era piena, piena zeppa, era una cosa spettacolare. E poi queste donne che battevano le mani, chi se l’abbracciava, chi si baciava, era una cosa, a me poi m’aveva commosso davvero. Insomma, era una bellissima cosa, perchè dopo tanta tristezza, tanto pianto, tante peripezie che si erano passate già si cominciava a vedere qualche cosa di allegro.
Siccome papà ha fatto sette anni in America, in Brasile, e sette anni in Argentina, però i genitori e un fratello sono rimasti là e io facevo tra me – che poi l’ho manifestato questo pensiero mio a questa Pasqualina – dico “Pasqualì, te l’immagini se in questo momento che sto guardando vedo la faccia di un mio cugino?”. E lei mi risponde “Ma tu lo conosci?; “E chi può conoscerlo, io no davvero. Se lo conosce lo conosce papa, ma papà non può uscire quindi…”. Avevo sempre questa fissazione che in mezzo a quei soldati ci dovesse essere lui.
Siamo rimasti lì sino a tarda sera, difatti siamo arrivati a casa che erano verso le undici e mezza. Eravamo stanche perchè a piedi, andata e ritorno, ci ha provate un po’, anche se eravamo giovani, però eravamo anche felici. Però in mezzo a tanta felicità già si cominciava ad aver paura, perchè tra questi alleati che erano venuti a Roma ce n’era qualcuno che cercava le ragazzette e quindi con tanta felicità era venuta tanta tristezza perchè non si usciva più.
Ricordo un giorno, che io intanto facevo la sartina, dovevo andare a lavorare e in questa piazzetta che io dovevo passare c’erano tanti figuri loschi. Dicevo tra me “E adesso come faccio?”. Meno male che io sono stata sempre un po’ ardita da piccola e così con la testa bassa sono entrata in questa casa dove lavoravo e basta. Però, al ritorno, ritornavo sempre di sera… e a questo che ci dava lavoro, si chiamava Andrea, dico “Andrè, m’accompagneresti a casa?”; dice “Sì, io ti accompagno a casa e mia moglie chi la guarda? Adesso bisogna stare attenti più che sia possibile”. Insomma, fatto sta, per farla breve, non sono più andata a lavorare, quindi mi ero pure persa quelle cinque lire che mi davano al mese.