Luigi Del Carmine (1931)
Sono della classe 1931, ho vissuto tutto il periodo di guerra a Torino. Il 13 luglio del ’43 c’è stato un bombardamento pazzesco e noi siamo andati tutti nel rifugio, ma la casa è crollata, cioè hanno bombardato la casa, però il rifugio per fortuna ha tenuto, e allora ci siamo salvati. Siamo stati quattro o cinque ore in cantina, dopo di che siamo usciti, anzi ci hanno aiutato delle suore e siamo usciti.
La prima impressione appena usciti è che tutto il rione era una fiamma unica, era tutto in fiamme, è stato un bombardamento veramente pazzesco. Non si poteva manco camminare per le strade per la semplice ragione che c’era il fosforo per terra, bruciavano le suole delle scarpe. Ogni cento metri, centocinquanta metri, c’erano dei cassoni, me li ricordo, con della sabbia, che uno metteva la scarpa, la sfregava un momentino e tutto passava. Però era veramente un disastro, proprio un macello, morti da tutte le parti. Dopo di che niente, ci hanno ospitati in una scuola, un’aula di una scuola, e siamo rimasti poi lì un anno e mezzo, con altra gente naturalmente, perchè non avevamo più la casa, assolutissimamente.
Dopo la scuola, siamo ritornati sempre in via Porta Palatina al 6, non nello stesso edificio, perchè era crollato tutto, ma a fianco, e siamo vissuti lì per tutto il periodo della Liberazione. Sino al ’53, ’54, che poi sono venuto a Milano.
I giorni della Liberazione me li ricordo benissimo, sono stati un paio di giorni, non tanti di più, ma era pericoloso. Noi abitavamo tra il municipio di Torino e la piazza Castello. Allora, da una parte c’erano i partigiani, dall’altra parte c’erano i repubblichini con i tedeschi. Si sparavano, uno sparava di qua, l’altro sparava di là. Di notte anche, si vedeva addirittura la traccia delle pallottole, della fiamma.
Era una piazza frequentata da venditrici d’amore. E chiaramente quando avanzavano i partigiani tutte fuori le bandiere tricolore, poi purtroppo dall’altra parte avevano messo addirittura un carro armato e sparava che era una cosa impressionante e allora niente, via tutte le bandiere, una cosa un po’ comica.
Era pericolosissimo. Ho visto parecchi morti, ho sentito sparare da tutte le parti, una cosa e l’altra, gente che scappava di qua, gente che scappava di là. E c’è questo che allora mi aveva preoccupato: bastava che uno qualsiasi segnasse col dito “Quello era una fascista”, e quello era morto. Eravamo arrivati a questo punto qua, in quei giorni lì.
Poi mi sono spinto più avanti, un po’ fuori zona, e ho visto l’impiccagione di Solaro, che era il prefetto di Torino… Quella è stata veramente una cosa terribile. Era veramente una tragedia vedere un uomo che è arrivato, portato su un camion, e appena ha visto la grande folla, una cosa e l’altra, ha fatto il pugno. E quando ha fatto il pugno gli han dato un sacco di legnate. Quando l’hanno impiccato era già mezzo morto. Però nonostante questo si è rotta la corda, l’hanno rimesso su e l’hanno… ma era già andato. Dopo di che l’hanno attaccato dietro un camion e l’hanno portato per tutta la città, in giro… Poi c’è stata una sparatoria impressionante, ma non una sparatoria in conflitto, sparatoria di gioia, allora forse si usava.
In quel momento lì la gente ha perso la testa, insomma, veramente non capiva più niente. Sparavano a destra e a sinistra, era pericolosissimo. Bastava dire “Ma quello era un fascista”, era morto… In quei giorni lì nel Po galleggiavano tanti di quei cadaveri, c’erano più cadaveri che pesci. Perchè li portavan tutti lì – pum, pum, pum, pum, pum, pum – poi li buttavano nel Po.
Gli americani hanno posteggiato i loro carri in piazza Castello, dove c’è il Palazzo Reale, che c’era una grossa inferriata, c’è ancora… Ecco, lì, erano lì tranquilli, e noi alla caccia dei mozziconi di sigarette. E loro fumavano, poi le buttavano via, toc, e noi tutti di corsa a prenderle, erano mezze sigarette, perchè le accendevano, due tiri e le buttavan via…
Lavoravo un po’ di fantasia a vedere queste cose qua, perchè tutti i carri armati messi bene, allineati, e una cosa e l’altra, carri armati enormi, con gli americani che andavanto avanti e indietro, ma c’era sempre questo profumo di arrosto, di purè di patate, una cosa pazzesca. E poi le saponette, mi ricordo che hanno dato tante cassette piene di sapone, saponette, e le han distribuite proprio, si vede che ci volevano puliti.