La police brutality sembra essere entrata a far parte in modo permanente del paesaggio americano e della sua rappresentazione mediatica.  La si vede scatenarsi ai bordi di una highway, lungo un marciapiede, tra gli spazi desolanti di un suburbia o di una no-mans’land.  Esplode dentro un negozio, una scuola, una casa, un bar, una stazione di polizia.  Urla forsennate, intimidazioni, pestaggi gratuiti, morsi di cane, a volte abusi sessuali, persino spari di pistole vere che feriscono e uccidono.

Le vittime appartengono per lo più a gruppi socialmente e culturalmente “sospettabili”: minoranze razziali, poveri, disabili, attivisti dei movimenti per la difesa dei diritti civili. E’ forse uno dei volti più inquietanti degli Stati Uniti di oggi, espressione di ideologie igieniste e razziste, che accumulano solo nuove fratture e ingiustizie. Cops e sheriffs sono i protagonisti sul campo della esacerbata frontiera securitaria di un paese in cui si può essere fermati e aggrediti dai poliziotti soltanto per aver attraversato le strisce pedonali con il rosso.

E’ davvero incredibile il numero di documenti audio visivi presenti nel web testimonianti gli episodi di police brutality che ogni giorno accadono in qualche luogo più o meno sperduto dell’America. Le azioni maggiormente ricorrenti, spesso descritte in modo minuzioso, sono: lo street fight, combattimento di strada; il tasering, l’uso di armi elettroniche stordenti; il chase, l’inseguimento stradale ripreso dall’elicottero. Il tutto assume spesso un certo sapore spettacolare, quasi si trattasse di una forma di intrattenimento, dando anche luogo alla creazione di compilations specializzate. In You Tube si possono ad esempio osservare i video relativi ai “best 2016” di Police Street Fight o Police Chase, quest’ultimo anche nel versione crash, accompagnati magari da una canzoncina spiritosa.

Erbarme dich, mein Gott

Dagli innumerevoli materiali web emerge una vera e propria “ossessione” documentaristica, che vede all’opera almeno tre categorie di autori. Le vittime delle violenze, che usano, fin quando possono, telefonini e smart phone, gli stessi strumenti di cui si servono gli spettatori dell’evento, se presenti. Gli agenti di polizia, forniti spesso di bodycam, con le loro riprese mobili e concitate, non raramente di buona fattura, a ridosso dell’azione.

Il “set” dello stesso episodio di police brutality può quindi essere osservato da punti di vista diversi di soggetti mossi da motivazioni differenti: di denuncia nel caso dei cittadini, di documentazione e implementazione archivistica da parte dei poliziotti. Tutti gli autori e attori coinvolti sembrano essere spinti dal desiderio comune di conservare una traccia, una prova, una memoria di quanto è capitato loro di vivere e di vedere. Quello sono io, questa cosa eccezionale è successa davvero a me, potrà poi dire la vittima. Nei casi più drammatici saranno le immagini di un ferimento o di una morte in diretta, una sorta di ricordo di guerra.

Cosa si può dire o pensare osservando queste immagini così diffuse e così terribili, così insensate? Questo triste landscape show dell’America di oggi? Si può solo dire e pensare, con la bellissima e struggente canzone musicata da J.S. Bach, Erbarme dich, mein Gott/Abbi pietà, mio Dio.