Sono le undici del mattino di sabato 19 marzo del 2016, a piazza Tirana del Giambellino, storico quartiere popolare della periferia sud di Milano, non c’è molta gente. I lavori di costruzione della  linea metropolitana 4 – la Blu, quella che collegherà la città all’aeroporto di Linate – hanno tolto provvisoriamente lo spazio al parco giochi dei bambini. Quando la nuova stazione San Cristofono verrà inaugurata, cioè fra sei o sette anni, i bambini torneranno e la piazza avrà probabilmente un aspetto migliore di quello attuale.

Un’idendità difficile

Si vedono dei rom, grandi e piccoli, che in questa piazza, e nei suoi dintorni, stazionano almeno da vent’anni, una presenza fissa di gente mobile, che non ha altri luoghi dove trovarsi. Ci sono degli anziani del posto, che parlano male degli zingari. Un uomo senza fissa dimora che dorme sdraiato su di una panchina. Dei ragazzi figli di immigrati che giocano a pallone in un campetto di basket prospicente la piazza. Italiani e stranieri,  decisamente più poveri che ricchi, ognuno al suo posto.

Una piazza abbandonata e intristita, come certi suoi alti alberi ammalati. E diventata un “porcile”, come dice una donna che viene qui con il suo cagnolino nel passeggino. Non c’è più la bisca, non si sentono più gli spari delle pistole, c’è meno spaccio di sostanze.  Manca però l’allegria e la socialità di un tempo, mentre sono rimasti gli storici conflitti abitativi della zona.  Una sorta di piazza “terminale” – forse neanche più il centro della vita del Giambellino – che sembra vivere oggi una fase poco decifrabile di deriva identitaria.