Quante volte, sin da bambino con i miei genitori, ho attraversato questo lungo tratto di mare in una placida notte d’estate a bordo di un traghetto. Ho visto il porto, le case e le luci di Genova sparire lentamente nel buio, la costa nuda della Sardegna stagliarsi all’orizzonte del mattino successivo. E viceversa, nella notte del ritorno.

Viaggiare in mare è un andare inquieti nel deserto acquatico che circonda le terre ferme abitate. Uno scorrere di immagini, un po’ come un film – i miei appunti video. Tra le foto ricordo e i gabbiani della partenza e dell’arrivo. Una nave è un luogo mobile che t’imprigiona nello spazio infinito del mare e ti fa sentire un po’ straniero. Come sospeso sull’acqua e nel tempo.

La Moby Otta

Ormai è notte piena, senza luna. Mi muovo dondolante sui ponti scivolosi della Moby Otta sferzati dal vento. Il nero nero del mare nero. La schiuma biancastra e ribollente della scia, che da bambino mi incuteva paura. Cavi, scialuppe, lampade, scalette, pareti, porte pesantissime che sbattono in un vortice d’aria. Un ammasso rumoroso di ferro che galleggia miracolosamente. Forse anche delle onde elettromagnetiche, che disturbano le riprese. Intanto qualcuno passa di fretta. Guarda nel vuoto dal parapetto. Fuma una sigaretta solitaria appostato in un angolo.

Nelle sale dell’interno, la vita sulla Moby Otta è decisamente più calda e animata. Giallastra. Chi non ha la cabina si sdraia per terra su giacigli di fortuna. La sala giochi è ancora piena di marmocchi vocianti. Al piano bar una coppia di musici intrattiene un pubblico distratto con canzoni da spiaggia.

La spiaggia di domani, la Sardegna.  Dopo una notte breve dal sonno leggero e intermittente, lo sbarco a Olbia. Stanchi, ma felici di tutta quella luce, di quel mare che si è fatto di nuovo amico.  Poi una veloce cavalcata in macchina verso i luoghi del desiderio. E mentre la comunità dei naviganti notturni si è ormai del tutto dissolta, quella nuova dei naviganti diurni si sta già formando sulla banchina davanti a un’altra nave in partenza. La stessa rotta, la stessa storia, ma al rovescio.