Le scarpe diversamente abbandonate sono tornate a farsi vive dopo essersi celate per diversi mesi al mio sguardo rasoterra.Ogni tanto le cercavo, le monelle, chiedendomi dove fossero finite, finché un pomeriggio dello scorso ottobre hanno ripreso ad apparirmi.
Le prime due si trovavano in un breve tratto d’erba tra la via Moroni e il Carrefour, vicino a casa mia. Un paio di scarpe maschili, in buono stato, pulite, con le stringe infilate, di un uomo anziano o di una certa età.
Non sembravano buttate via, ma messe appositamente lì, in bella vista, l’una accanto all’altra, perché qualcuno che ne potesse avere bisogno le raccogliesse. Erano delle scarpe donate, dietro le quali sembrava nascondersi un gesto di solidarietà rivolto ai diversi questuanti che frequentano la zona. Sembravano dire “Possiamo servire ancora altri piedi, altri passi”. Commoventi.
Accanto a questi poveri oggetti abbandonati, la copia omaggio del notiziario del gruppo immobiliare Tempocasa, che ha agenzie in tutta Milano. Una vicinanza per niente casuale, perchè case e scarpe hanno entrambe a che fare con il senso di sicurezza e dell’esserci. Siamo nel mondo, soprattutto in questo mondo ricco dell’ovest, soltanto se camminiamo con delle scarpe ai piedi e abitiamo in una casa o in un altro posto che faccia da casa.
Qualche ora dopo, rientrando a casa (calzavo delle clark autunnali in cuoio fabbricate in Vietnam, piuttosto vecchie e stinte), sono ripassato nel luogo del ritrovamento. Era ormai buio, la gente animava avanti e indietro, come in una processione, le vetrine illuminate del Carrefour. Le scarpe non c’erano più, qualcuno le aveva prese, ignorando la scintillante rivista. Bene, mi sono detto, quelle vecchie scarpe abbandonate hanno avuto fortuna, la loro vita continuerà con altre vite, altri odori, in altri luoghi.
8 dicembre, festa dell’Immacolata, mattino. Appena fuori dal portone di casa vedo tra il marciapiede e le ruote delle macchine parcheggiate un gruppo di scarpe buttate via. Mai viste così tante insieme in una sola volta, avverto una sorta di emozione. Risalgo a casa, prendo la macchina fotografica, ridiscendo, scatto due fotografie.
Sono scarpe malconce, sembrano tutte spaiate: la scarpa abbandonata in strada è il più delle volte una scarpa solitaria. Compongono come dei passi immaginari, che s’intrecciano tra loro. Passi congelati, giunti al capolinea. Passi di uomini, di uomini migranti probabilmente. Chissà quanti chilometri hanno percorso, in quali posti sono passate, quando erano vive. Sono fuoriuscite dalla busta rosa che compare nella fotografia, creando questo piccolo spargimento provvisorio. Non aspettano nessuno.
Sono stati gli zingari, penso. Loro lo fanno: raccolgono, scelgono, buttavano via dove passano, a casaccio. Sono scarpe terminali, rifiuti di rifiuti destinati al macero. Anche le scarpe muoiono, prima o poi.
Da oggetto privato a oggetto pubblico
E’ sempre l’8 di dicembre, ma di pomeriggio, nel caldo della casa. Sfoglio l’ultimo numero della rivista Internazionale, che nelle prime pagine riporta una grande fotografia di place de la Rèpublique a Parigi ricoperta di scarpe, proseguendo, a una scala diversa, la visione del mattino. Sono le oltre ventimila scarpe depositate sul selciato della piazza dai cittadini in segno di protesta contro la decisione assunta dal governo dopo gli attentati del 13 novembre di vietare qualsiasi corteo in città, compreso quello per il clima previsto per il 29 novembre.
Sono scarpe di ogni foggia e colore, per tutti i piedi, per tutte le età, tutte orientate verso place de la Nation, dove la manifestazione doveva terminare. Ci sono anche le scarpe nere di papa Francesco accompagnate da un foglio bianco con la scritta Laudato Si’.
Tutte queste scarpe non sono le scarpe abbandonate in strada per gli accidenti più svariati e a volte misteriosi. Sono le scarpe donate per una causa, che simbolizzano i passi impediti, che si muovono restando ferme. Non sono più oggetti privati, ma pubblici. Quella riunita a place de la République, grande luogo di popolo celebrativo dei valori repubblicani, è una comunità di scarpe ribelli in marcia. Una volta rimosse dalla piazza e redistribuite alle associazioni caritatevoli daranno ai passi delle persone bisognose che le calzeranno un sapore di libertà.