Il Terzo paesaggio è il paesaggio dei terreni abbandonati, degli incolti, degli spazi indecisi, che vengono occupati dalle diverse specie vegetali spontanee in perpetuo movimento. E’ terzo perché si pone accanto al primo paesaggio, quello della natura, e al secondo, quello costruito dall’uomo. E’ terra di frontiera tra natura e cultura, città e campagna, fare e non fare, presenza e assenza. Visibile e invisibile, un po’ come le nuvole in cielo, che appaiono e scompaiono.
Territorio della biodiversità, il Terzo paesaggio è parte costitutiva e necessaria della vita umana. “Uno spazio privo di Terzo paesaggio”- scrive Gilles Clément – “sarebbe come uno spirito privo di inconscio. Una simile situazione perfetta, senza demoni, non esiste in alcuna cultura conosciuta”. Come tutti i demoni, non serve a nulla rimuoverli, far finta che non esistano, ma occorre conoscerli, imparando in primo luogo ad osservarli. “Avvicinarsi alla diversità con stupore”, scrive ancora Clément.
Osservare è riconoscere, è il primo passo del prendersi cura delle cose che ci circondano, del mondo in cui viviamo. Non c’è cura senza osservazione. E’ questo lo spirito che ha animato il percorso del progetto Selvatico urbano, iniziato con il mese di marzo, che si conclude oggi con lo sguardo rivolto al Terzo paesaggio. Si può dire che in città ogni luogo privo di manutenzione, non attraversato dalle macchine, poco o per nulla utilizzato dagli esseri umani tenda a farsi Terzo paesaggio. Non soltanto quindi le aree marginali più o meno estese, ma anche quelle centrali, circondate dalle case e dal traffico. Sono come delle piazze fatte di arbusti, alberi, erbe, rovi, rifugio di gatti, uccelli e altri animali. A tali luoghi si aggiungono le scarpate e altri spazi interstiziali. Tra erbe, fiori e sterpi scorgiamo spesso i rifiuti gettati dagli umani che non sanno guardare.