Elio Andenna ci riceve nella sua bella casa di piazza De Angeli per raccontare i suoi ricordi dei Giorni di Liberazione di Milano. Ha 89 anni compiuti, è seduto su una carrozzella perché tempo addietro è stato colpito da ictus. La sua memoria è rimasta intatta, lucida, dettagliata. I ricordi indimenticabili di quei giorni, quando Elio era un ragazzo di 15 anni, sono come la corrente impetuosa di un fiume in piena. L’intervista dura un’ora e un quarto, concentrandosi sulla narrazione puntigliosa dei fatti vissuti da Elio nei giorni 23, 24 e 25 Aprile. Si tratta di una testimonianza di grande interesse. Data la sua lunghezza, abbiamo deciso di limitare la restituzione scritta del parlato ai passaggi maggiormente rilevanti, mentre altri vengono riassunti (carattere corsivo). Qui di seguito può comunque essere ascoltata la registrazione audio integrale dell’intera intervista.
23 Aprile: con gli operai delle officine Meani
Il racconto di Elio Andenna inizia dal giorno 23 Aprile, quando, nei pressi di parco Ravizza, assiste a una sparatoria tra gli operai insorti delle Officine Meccaniche Meani e i fascisti. Elio stava accompagnando un tenente dell’Aeronautica, amico dei partigiani, per fare dei sopralluoghi ai ponti minati posti lungo viale Tebaldi.
“I fascisti erano nel parco Ravizza e io ero sull’angolo di viale Tibaldi, dove c’era un sottopassaggio, vicino a un torrentino. Noi poi siamo scappati di lì. A un certo punto noi passavamo messaggi dal muro di cinta delle Officine Meani, dove erano dislocati questi fascisti. Si sparavano da dentro a fuori. Dentro l’officina era dei locali dietro i muri, ma nel parco era difficile individuare questi fascisti, che probabilmente erano delle brigate nere…”
Elio sente fischiare alle orecchie “qualche zuffolata di pallottola” e scappa via. Il suo vero “battesimo” all’azione avviene la sera del giorno dopo, quando, insieme a due amici, disarma un giovane fascista in strada.
24 Aprile: il disarmo di un giovane fascista
“Già il 24 per la città si sentiva tutto questo fermento. Fascisti che capivano il momento pericoloso, cercavano di squagliarsela, bene o male. E il popolo invece, una parte del popolo, che sentiva che era giunto il momento della reazione. Eravamo in subbuglio anche noi. Eravamo sull’angolo di via Marghera e vediamo arrivare dal fondo della via, sul lato sinistro, un fascista in divisa. Arriva a passo veloce all’angolo, ci siamo guardati in faccia, ci siamo detti “Cosa facciamo? Lo prendiamo? Dai, dai, lo prendiamo!”.
Siamo saltati dentro una porticina e come questo è arrivato davanti a noi, tram, l’abbiamo abbrancato e l’abbiamo tirato dentro il portone. Giovane, forse avrà avuto 17-18-20 anni. Dopo un po’ si mette a piangere. L’abbiamo disarmato, e con un calcio nel culo lo abbiamo cacciato via. Posso dire che da lì inizia il mio intervento reale…
Gli ho portato via un revolver, mentre il mitra l’han preso i miei amici. Era un revolver in dotazione ai carabinieri e che era stato usato durante la prima guerra mondiale. Vuol sapere una cosa? Io quel revolver lo conservo ancora…”
25 Aprile: sparatoria in piazza De Angeli
Sono le 9-9,30 del mattino del 25 Aprile. Elio Andenna, dal portone di casa, assiste all’arrivo in piazza De Angeli di una lunga autocolonna di fascisti proveniente da Novara. Si sentono i primi spari. Elio nasconde in un sacco un vecchio fucile 91, che “sparava che era una meraviglia”, e se la squaglia per raggiungere i suoi amici, che abitano poco distante.
“Ho nascosto in un sacco un fucile 91, che io avevo trovato nel fiume Olona quando avevo 14 anni. Andavo nell’Olona, in Ghirlandaio, dove l’acqua era alta una spanna e mezza sul fondo in cemento. Andavo a raccogliere i rottami che si trovavano dentro per venderli allo stracciaio e prendere quattro soldini. Dentro lì ho trovato questo 91, che era stato gettato sicuramente da qualche partigiano inseguito, perché se lo prendevano lo fucilavano sul posto.
Riesco a squagliarmela. Arrivo in via Ravizza, erano case di tre o quattro piani, con le scale un po’ esterne, un po’ interne. Mi infilo dentro la casa di un mio amico. Nei ballatoi c’erano i cessi comuni, che avevano una finestra che guardava fuori verso piazza De Angeli. Noi da lì vedevamo i movimenti della mitragliera dei fascisti. Era già cominciata una sparatoria, che veniva effettuata da questo gruppo di partigiani e i fascisti.
Siamo discesi, siamo arrivati in via Marghera, dove il gruppo dei partigiani era radunato. Da lì sparavano in piazza De Angeli, da piazza De Angeli sparavano in via Marghera. Mi ricordo che un fascista è stato colpito sul tetto del palazzo della De Angeli Frua, l’unico grande palazzo della zona. Era rotolato ed era caduto giù dal tetto, lì bell’e morto sul marciapiede.
Mi ricordo anche che c’era un cane che attraversava da una parte e dall’altra via Marghera. Secondo me portava delle munizioni, riforniva quelli che sparavano che erano a sinistra, i fascisti. Allora noi sparavamo al cane, ma il cane non è stato colpito”.
La resa dei fascisti
La sparatoria del 25 Aprile di piazza De Angeli prosegue per tutta la mattinata. Nel primo pomeriggio inizia una trattativa tra i tre comandanti dell’autocolonna fascista e i partigiani con la mediazione del parroco della vicina chiesa San Pietro in Sala di piazza Wagner.
“Un nostro amico era venuto fuori per vedere cosa succedeva in piazza De Angeli, dove era in atto la trattativa. Si è esposto, uno dei fascisti gli ha fatto un tiro, l’ha beccato in pieno, l’ha fatto morire in mezzo alla piazza. Però il capo dei fascisti l’ha preso, gli ha dato una revolverata e l’ha ucciso lì. Ha pagato con la morte quello che aveva fatto, è stato un atto di giustizia…”
La trattativa si conclude con l’arresto dei tre comandanti fascisti, che verranno successivamente processati e fucilati. Tutti gli altri componenti della colonna sono liberi, una volta disarmati, di andare dove vogliono.
“Tutta questa gente entrava nei palazzi, nei portoni, a cercare un paio di pantaloni di ricambio, togliersi la divisa, mimetizzarsi. Ognuno tentava di tornare a casa sua, ma in divisa non arrivava neanche dai frati… Mi ricordo che dentro casa mia qualche donna, qualche moglie, perché le mogli erano a casa, i mariti in guerra, gli han dato magari un paio di pantaloni sgangherati. Giù nelle cantine si sono cambiati, han lasciato lì la divisa, si sono arrangiati… Lì si è visto un po’ la differenza tra armato armato e civile confratello, chiamiamolo così”.
Il fortino e il piede ferito
Elio va in giro per la piazza De Angeli recuperando le armi dei fascisti arresisi. Le armi vengono ammassate nella scuola elementare di piazza Sicilia, la sede dei partigiani. Alcune rimangono nelle mani di Elio e dei suoi due amici, che le portano in un balcone posto al primo piano di una casa della confinante via Seprio. “Era il nostro fortino”, dice Elio.
“E lì avevamo un fucile mitragliatore da venti colpi, quello portatile, avevamo il 91, le nostre rivoltelle recuperate. Eravamo pieni di munizioni che non le dico. Noi curavamo tutta la via Luigi Sacco, eravamo una postazione. Chiunque arrivava lì per andare in piazza Sicilia doveva passare sotto di noi… La De Angeli Frua aveva dei comignoli altissimi, alti 30-40 metri, due erano con su la scritta De Angeli. Noi sparavamo col 91 per colpire questi comignoli.
Saranno state più o meno le cinque del pomeriggio. Passa una macchina, un’autoambulanza della croce rossa, diretta in piazza Piemonte. Quando passa davanti a noi spara una mitragliata. Io ero in piedi sui quattro gradini della porta del balcone. La fortuna vuole che sparano ad altezza d’uomo e allora mi hanno preso il piede… La pallottola ha battuto contro il granito, frantumandolo, e non è entrata nel piede, che si è riempito di schegge di piombo e di pietra”.
All’ospedale
Elio è soccorso da persone dell’Unpa (Unione Nazionale Protezione Antiaerea). Uno dei soccorritori “arriva con un fiasco, il fiasco di vino toscano, pieno di alcool”. Viene quindi trasportato in un’ospedale nei pressi di piazzale Brescia seduto sulla canna della bicicletta del fratello. Qui, alla sera, finisce il 25 Aprile del giovane Elio Andenna. Una lunga notte insonne, “con la mia cagnolina, una bastardina, accucciata ai miei piedi, quasi a proteggermi”, in attesa dell’operazione del mattino dopo.
“Mi hanno addormentato e mi hanno tolto tredici schegge, meno una del piede destro, che è sempre rimasta lì. E’ ancora lì, ma è scomparsa, è entrata nella carne, era una scheggia grossa, ma ce l’ho ancora adesso e mi dà fastidio. Un sei mesi fa mi faceva male, va e viene, si muove dentro”.
Una bottiglia d’olio e un pulcino nero
Il 27 Aprile, Elio lascia l’ospedale e torna casa. Due giorni dopo è di nuovo in giro con la sua bicicletta, “il piede buono sul pedalino e l’altro col bastone”. A una festa in via Correggio suona la fisarmonica che gli aveva regalato il padre. I carri armati americani s’insediano nella zona. Elio s’impossessa di un carabina Winchester penetrando nel “bunker” del comando tedesco di piazzale Brescia. Partecipa all’assalto di una villa signorile abbandonata dai proprietari fascisti.
“La gente entrava, rubava tutto, c’era il ben di Dio… Allora io, mollo giù la bicicletta, che era un regalo di mio padre di un paio d’anni prima quando avevo preso la licenza media. Entro dentro assieme agli altri, scopro nella cantina tutte le bottiglie di olio. L’olio era una roba che non esisteva. Raspo una bottiglia d’olio, me la metto qui, raspo una bottiglia di vino, me la metto qua. Esco fuori, nel giardinetto. Nel giardinetto c’era un pulcino nero, grandino, piu, piu, piu. Porca miseria, metto giù le bottiglie, prendo il pulcino. Dopo come facevo: o il pulcino o le bottiglie! Allora lascio giù la bottiglia di vino e prendo quella d’olio e il pulcino ed esco fuori a prendere la bicicletta. L’avevano rubata, nuova, nuova di due anni.
Me ne torno a casa senza la bicicletta, col mio pulcino, nero, e col collo pelato! Era un pulcino di quelli, anche bel grassottino. L’ho portato a casa, che poi l’abbiamo chiamato Mussolini, perché era nero e dopo magari l’abbiamo mangiato, ma non mi ricordo più”.
Fiori per la Maddalena
“Abbiamo preso due scale di legno, da sette-otto metri, che erano quelle che usavano le imprese edili dell’epoca. Le abbiamo portate qui in piazza De Angeli, a casa nostra, qui sull’angolo. Le abbiamo legate insieme e abbiamo ottenuto una scala lunghissima. L’abbiamo appoggiata con la colonna di granito con la Madonnina in cima con in mano una croce di ferro. Io mi sono arrangiato, tu tu tu, ho portato su un mazzo di fiori e l’ho legato alla croce.
Questo qui è stato un’espansione di contentezza e di ringraziamento. Bene o male eravamo tutti degli ottimi cristiani, specialmente all’epoca, adesso magari un po’ meno”.