Maria Brambilla (1934), che durante l’intervista ha parlato quasi esclusivamente in milanese

Mi chiamo Brambilla Maria e sono nata a Milano in via Moncucco n. 30, il 14 maggio 1934.

Purtroppo all’età di tre anni perdo mia mamma e perciò dopo due anni mio papà ha trovato un’altra mamma, che per grazia del cielo era brava.

Quando mi dicevano “Che poverina non ha più la mamma”, a me veniva una cosa. Allora la mattina che il mio papà ha sposato la mia mamma seconda chiamavo tutti gli altri bambini, avevo allora cinque anni e dicevo “Venite a vedere che ho la mamma anch’io”. La chiamavo dalla finestra per farmi buttare il pane così la vedevano, se no non ci credevano e poi dicevo “Pensate, ha una coperta d’oro e d’argento con tutti gli angeli”.

E dopo comincia la scuola, comincia la guerra e io andavo a scuola. Noi la chiamavamo “la rossa” ed era sull’Alzaia Naviglio pavese.

Giorni di Liberazione alla Barona

I giorni della Liberazione dicono che i bambini per certe cose restano scioccati. Io no perché in quei giorni andavamo alla Barona, alla chiesa di SS. Nazaro e Celso, perché se c’era scuola il pomeriggio andavamo alla chiesa la mattina, se no viceversa.

Quella mattina facciamo tutto il sentiero sull’Olona e proprio quando arriviamo quasi al ponte, che dopo c’era la chiesa, guardiamo le calzettone tutte sporche di sangue e noi ci chiediamo perché, cosa c’è. Guardiamo giù nell’Olona e lì c’erano tre uomini e una donna ammazzati.

Oh Signor, cosa facciamo adesso, vai a chiamare il prevosto. Quando è arrivato ci ha mandati via, sgridati dicendoci “Cosa ci fate qui?”. Però noi eravamo passati di qui, poi noi eravamo curiosi. Non so chi erano però è stata una cosa che, per essere piccolini!

L’ultimo bombardamento della Barona è stato il 31 marzo 1945, perché dopo è arrivata la Liberazione finalmente. Io ero in chiesa con il mio fratello più piccolo. Finita la messa io volevo andare a casa perché dovevamo fare la Comunione, ma c’era l’allarme con gli apparecchi sopra di noi. Subito una bomba dirompente proprio davanti alla chiesa perché lì c’era il deposito dell’AGIP e l’obiettivo era proprio quello lì. Figuriamoci, tutti fuori dalla chiesa cercando di andare verso la porta della sacrestia dove giù c’era il rifugio. Quando arrivo lì, spingi di qui, spingi di là, è scoppiata un’altra bomba. Tutti i vetri della finestra spezzati. C’era il prevosto che impazziva e dopo un po’, quando le arie si sono calmate arriva il mio papà a prenderci, era tutto spaventato.

Però non c’era il Nando, mio fratello. Gli avevo detto di restare all’asilo e non di tornare a casa e poi tornare indietro. Cerca di qua cerca di là il Nando non c’era più. Siamo andati all’asilo della chiesa dove tutto era crollato. Allora ci mettiamo a cercarlo dentro la chiesa dove c’era i vetri tutti rotti. C’era una cassapanca per andare nella sacrestia: era dentro lì tutto rannicchiato. Morale siamo andati a casa e mio papà ha detto “Mi raccomando, di qua non si muove più nessuno”.

Quartiere Barona – Chiesa SS. Nazaro e Celso (1954)

Ma io dovevo andare a cantare perché dovevamo fare il coro alla messa di Pasqua. Alla sera alle 5 sono lì alla cascina Ranza e c’erano ancora gli aerei che giravano. Io per andare nel rifugio che era sotto la ferrovia (oltre quello che c’era sotto la discarica) avevo un paio di zoccolette belle nuove che mia nonna aveva comperato dall’ortolano lì al Moncucco. Sembrava che l’apparecchio mi seguiva, però io sono riuscita ad entrare nel rifugio che era pieno di gente, con tanta acqua per terra. Dopo un po’ che eravamo dentro c’era uno con un fucile che voleva cacciare fuori tutti. Noi avevamo paura. Non so se era un disperso o che.

A parte il fatto della chiesa della Barona, c’era la mamma della mia amica che era ammalata. E’ venuto il dottore e mi ha detto “Vai in farmacia (che per noi voleva dire andare fino in via Tibaldi) a prendere la medicina”. E allora andiamo. Siamo alla svolta della via e arriva un motorino con su uno. Scendono i Partigiani e lo hanno fucilato lì vicino alla siepe. Un bel spavento! Siamo passate dalla cascina Muncucchetto e via andare. Siamo tornate ed era ancora là disteso per terra da solo e il sangue era persino verde.

E dopo abbiamo cominciato a fare le feste, una cosa e l’altra e dopo non è che mi ricordo proprio. Ballavano lì dove c’era la Posteria, una bella sala, cominciavano le sposine ad andare a ballare e via, dopo quando hanno cominciato con la Cooperativa (Martiri di via Moncucco) e mi ricordo che andavamo a fare le passeggiate e via. Nella Cooperativa mio zio (Giuseppe Cattaneo , il presidente) aveva fatto una bella sala e lì i “pellettieri” hanno fatto il “Moulin Rouge”, una cosa neanche da credere.

Poi ho visto che portavano via quelli che andavano con i tedeschi, testa dipinta con il minio. Perché la zia era una curiosona e un giorno mi dice “Andiamo, andiamo perché mi hanno detto che i Partigiani stanno arrivando da via Meda”. Difatti siamo andati li in via Spaventa ed erano arrivati davvero. Mamma mia! Con queste barbe, uno vestito in un modo un altro in un altro modo.

E il mio suocero ha avuto in casa un soldato polacco. Io non so come ha fatto a prenderlo, con la moto. Ed è rimasto lì fin dopo la fine della guerra. Devo avere la fotografia, Arnold si chiamava. Era prigioniero dei tedeschi e si vede che quelli, nello scappare, io non so, ma mio suocero ha portato a casa lui e la moto.

Il soldato ospitato nella casa di Luigi Volpi, suocero di Maria Brambilla

Dopo hanno cominciato ad aprire la Cooperativa, una cosa tira l’altra, la Cooperativa è stata messa in piedi dai Partigiani. Mio zio lì era il cognato di uno che aveva i contatti con la Russia e mio zia diceva “ma qui insomma…” Lui era il fratello della moglie di questo.

Loro erano rossi rossi. Io invece poi ho sposato mio marito, che lui era piuttosto socialista. Anche il mio suocero. Sì, va bene, mi piacciono anche i socialisti però il mio papà il Pci era il suo PCI, e qui e là.

Attestato del Corpo Volontari della Libertà per Rosolino Volpi, marito di Maria Brambilla