Abito da quasi 35 anni a Milano e non ho mai visto il Cenacolo vinciano conservato presso il convento domenicano della basilica di Santa Maria delle Grazie. Non l’ hai mai visto, ma come? E’ bellissimo, mi dicevano tutti quelli a cui dicevo di non aver mai visto il Cenacolo di Leonardo da Vinci. E’ emozionante, stupendo, eccetera, devi andare, dicevano. Io ho sempre risposto che ci sarei andato, prima o poi, ma prima e poi sono trascorsi invano. Passato davanti all’antico refettorio in cui è conservato il Cenacolo sì, diverse volte, ma entrato dentro no. Passeggiato all’interno del bellissimo chiostro bramanteo sì, alcune volte, ma nella sala del Cenacolo mai.
Non è tanto per la pigrizia dovuta alla menata di doversi prenotare in più o meno largo anticipo, pagare il biglietto, mettersi in coda, eccetera. E’ che da sempre faccio una grande fatica a entrare nei musei, nelle cosiddette gallerie d’arte, nei battisteri, nelle cripte, nelle cattedrali gotiche o rinascimentali, eccetera. A suo tempo, per dire, sono scappato dagli Uffizi dopo appena dieci minuti che ero lì, dal museo del Louvre dopo mezz’ora. Con tutta quella gente non si vedeva nulla, gli Uffizi di Firenze e il Louvre di Parigi sembrano fatti apposta per non vedere, non sentire e non capire niente, ma proprio niente. Per non parlare delle guide, bravissime quanto micidiali. Io fatico molto ad entrare in questi musei e questi musei faticano molto ad entrare in me, a trasmettermi un senso di luogo e di benessere. Bisognerebbe andarci quando sono chiusi.
I musei e simili mi annoiano, mi prende subito il mal di gambe. Poi è proibito fumare. Ai musei e simili io preferisco di gran lunga i caffè, le panchine, le strade. L’aria aperta, il cielo, il camminare. E se per caso entro in una qualche chiesa famosa piena di quadri e di sculture è soltanto per sedermi su di una panca, riposarmi, muovere lo sguardo in alto, ascoltare il silenzio.
La piazza del Cenacolo
A me il Cenacolo piace vederlo più da fuori che da dentro. Il fuori del Cenacolo è la piazza della basilica di Santa Maria delle Grazie. Tutte le volte che passo in quella piazza mi piace sostarvi, sedermi su una delle sue panchine di pietra se trovo un posto libero. Sto lì e guardo, non la Basilica, dove non ho mai messo piede, ma lo spettacolo della piazza, con la sue diverse genti, la sua bella e ben curata pavimentazione lapidea.
I bambini giocano a pallone correndo da un punto all’altro del sagrato. Le badanti straniere accompagnano le donne anziane inferme. Le frotte di turisti vanno e vengono. Chi entra, chi esce. Tanti giapponesi, che scattano fotografie. Un banchetto di volontari raccoglie firme contro la droga. I piccioni saltellano sul selciato. Le rondini volano in cielo.
Ma l’aspetto che maggiormente attrae il mio sguardo è la dinamica dei tanti gruppi di visitatori del Cenacolo che si susseguono nella giornata. E’ sempre la stessa scena, ripetuta, come un rito. Arrivano a passo lesto capeggiati dalle guide, sostano sulla piazza, ascoltano, osservano, parlano le lingue della Terra. S’incamminano verso il Cenacolo, attendono pazientemente davanti all’ingresso, scompaiono un po’ alla volta dietro la porta a vetri. Un flusso di apparizioni e sparizioni, che è la pulsazione centrale della piazza, il suo ritmo. Gruppi come il gruppo degli apostoli con Gesù.
E’ un paesaggio mite e mutevole, aperto e discreto. Solare. Una magia di luogo che Milano offre al mondo. Potrei stare qui per ore, guardando e basta, dimentico del traffico che scorre a due passi. Come ha fatto il fotografo giapponese con la sua amica. Sembra un gitano , i sandali colorati di plastica ai piedi. Ha un’attrezzatura di ripresa da urlo, che la mia al confronto è un giocattolo per bambini.
Alle sette meno un quarto del pomeriggio il massiccio portone in legno di ingresso del Cenacolo si chiude sollevandosi lentamente dal basso verso l’alto, come una saracinesca che si muove al contrario. Uno spettacolo nello spettacolo. Gli ultimi visitatori escono alla spicciolata da un cancello laterale. La piazza si svuota, scendono le ombre della sera. Il dolce volto di Gesù lievemente reclinato è una lontananza infinita.