Gli alberi di città sono soprattutto gli alberi che vivono lungo le strade, i viali, nelle piazze delle nostre città. A Milano se ne contano oggi circa 260 mila, un “bene comune” diffuso, prezioso per il benessere dei cittadini, ma sostanzialmente sconosciuto e non di rado trattato male. Una città di alberi, in certa e crescente misura, ma non sempre per gli alberi.
Gli alberi di città conducono infatti una vita grama, molto meno “naturale” e lunga di quella dei loro più fortunati confratelli (e consorelle) che abitano boschi e foreste. O comunque in luoghi “verdi” più o meno lontani dalla “proliferazione cancerosa degli spazi urbani dove l’albero rantola semiasfissiato dai gas” (Guido Ceronetti). Luigi Pirandello li paragona a dei carcerati: “Il breve cerchio che il lastrico della via lascia attorno al tronco, è tutta la loro campagna”, una piccola campagna magari coperta da una grata di ferro.
Se potessero, scapperebbero via, questi poveri alberi prigionieri senza colpa di città inquinate, ma non possono farlo. Non sono come gli animali e gli esseri umani, che si muovono nello spazio. Gli alberi sono sempre lì, fermi, un po’ come delle pietre, prendono tutto quello che viene. Trascorrere nello stesso luogo un’intera vita è una prova di resilienza di cui l’uomo odierno, specie quello di città, non sarebbe capace. Che resilienza sofferta e oscura sorregge l’ippocastano di Primo Levi, che anno dopo anno “succhia lenti veleni, è abbeverato di orine di cani”. Che resilienza tenace mostrano questi apparati radicali vagabondi, che serpeggiano nel sottosuolo in cerca di nutrimenti problematici, sollevano i marciapiedi, affiorano dagli asfalti disegnando strani ghirigori, spaccano persino il cemento.
Certo, a differenza delle pietre gli alberi sono degli esseri viventi, che respirano, percepiscono, sentono, comunicano, pensano, elaborano strategie di sopravvivenza. Tutto quello che si vuole, ma non come l’uomo, che con la sua intelligenza unica sta in cima alla scala della natura, re di tutti i regni. Re molto meno longevo degli alberi, peraltro.
Questo modello gerarchico, che è adottato, ricorda giustamente Stefano Mancuso, da una frazione insignificante dei viventi, in natura non funziona, produce semmai dei disastri (come del resto sul piano sociale). E allora, scendendo gli scalini per sostare più in basso, potremmo imparare qualcosa dalle piante, facendoci in qualche modo albero, radice, l’homo radix di cui parla Tiziano Fratus. Gli alberi non sono soltanto là, racchiusi in un’esistenza muta e immobile, ma sono parte del mondo, un mondo nel mondo, sono anzi all’origine del mondo, in una connessione costante e dinamica con tutte le altre forme di vita. “C’è un albero dentro di me”: è l’incipit di una bella poesia del grande Nazim Hikmet. Ecco, tiriamolo fuori questo albero che è in noi, riconosciamolo, respiriamo con lui. Trasformiamoci con lui, che di mutazioni e adattamenti se ne intende, stagione dopo stagione.
Alberi di strada, il video
Inizio le riprese video alla fine di Aprile 2017 e mi accorgo subito di non sapere il nome degli alberi che stanno davanti a me. Un’ignoranza tipica, molto diffusa. Ho comprato un libro con disegni e fotografie, ma mi è servito a poco. Viviamo tra popolazioni vegetali, tra essere viventi come noi, di cui non conosciamo quasi nulla. Diciamo di amare la natura e questo ci basta, chi se ne frega dei nomi, delle complessità e delle genealogie arboree, che sono roba da botanici.
Visti da vicino, con un po’ di calma, gli alberi di strada si mostrano nella loro bellezza e varietà. Anche quando sembrano uguali sono diversi: non ci sono due alberi identici. Ognuno ha il suo corpo, la sua pelle, le sue rughe, le sue braccia, i suoi piedi, le sue chiome, la sua storia. La sua inclinazione e la sua ombra. Come noi, che passiamo oltre. Spesso, specie in autunno, stupiscono le forme e i colori che assumono i tronchi, gli intrichi di rami e foglie, di pieni e di vuoti. Pittori e scultori insieme, i nostri alberi artisti. Vale davvero la pena interrompere la corsa per fermarsi ad osservarli.
Gli alberi urbani non servono soltanto per trasformare l’anidride carbonica in ossigeno, ma fanno paesaggio, abbelliscono gli spazi, generano presenze, relazioni, lentezze, ricordi. Testimoni del tempo che passa, essi accolgono e custodiscono le memorie della città. E’ il caso, per fare qui un solo esempio, dei bellissimi platani di Rimembranze Lambrate, dedicati al ricordo dei caduti di Lambrate, che all’epoca era un comune autonomo, durante la prima guerra mondiale. Memoria degli alberi, alberi della memoria.
Verso la città degli alberi
Le ultime riprese sono del Gennaio 2018. Gli alberi di città sono cambiati. Le loro ramificazioni spoglie e scure sono, specie sul far della notte, affascinanti grafismi stampati sulla volta celeste. Fra non molto inizieranno a gettare i germogli. In queste grandi isole di calore che sono le nostre città energivore, la primavera per gli alberi arriva sempre un po’ prima rispetto ai più freddi terreni extra urbani. Per riapparire magari improvvisamente, a causa anche del cambiamento climatico, in pieno autunno o inverno, con meli e peri che vanno in seconda e persino terza fioritura.
In tutti questi mesi ho scoperto una per me inedita Milano arborea che non conoscevo, se non sommariamente per sguardi distratti e frettolosi. Andare per alberi è un andare per luoghi. Ogni albero, con i suoi diversi significati simbolici e sacrali, radicato nella terra e rivolto verso il cielo, produce o emana un senso di empatia, di protezione, di pace, di libertà, di bellezza – proprio come fa un vero luogo. Lo sanno bene i bambini, i fidanzati, i viandanti, con l’albero dei giochi, degli amori, dei riposi. Gli uccelli, con l’albero dei nidi, dei canti e dei voli. Gli abitanti delle case vicine, con l’albero guardiano. I poeti, con l’albero dei sogni. I defunti, con l’albero della memoria. Lo sanno bene più o meno tutti, eccetto quelli che guardano sempre diritto davanti o al massimo un po’ di lato, attraverso lo specchietto retrovisore.
Vivere il più possibile accanto agli alberi, prendersene cura, garantendo loro i migliori spazi vitali di cui hanno bisogno. Imparare i loro nomi, conoscerli, fotografarli, filmarli. Scrivere, come Mario Rigoni Stern, il proprio Arboreto selvatico di città. E ogni tanto abbracciarli, come invita a fare il titolo del bel libro di Giuseppe Barbera, dal quale ho ripreso alcuni spunti e citazioni.
Più che nuove piantumazioni, sembrano servive nuove mappe, sentieri, apprendimenti, segnaletiche e passeggiate arboree. E’ forse soprattutto in questo modo che potremo conferire cittadinanza a questi altri da noi che sono gli alberi, passando dagli alberi di città alla più evoluta città degli alberi e per gli alberi.