Lasciatemi uscire, diceva il pulcino pulsante dentro l’uovo, che ho utilizzato in un video per fare gli auguri di Buona Pasqua. La Pasqua è passata, il pulcino è uscito, ma noi umani siamo ancora dentro, nel grembo delle nostre case. Non è ancora tempo di uscire, ancora minacciati come siamo dalla nube persistente di Covid, seppure in diradamento. L’hastag #iorestoacasa vale in Italia fino ad almeno il 4 maggio.
Sono anziano, trascorro in casa molto più tempo di quando lavoravo. La mia vita quotidiana non è cambiata gran che, con il Coronavirus. Mi mancano le passeggiate, le visite alle librerie, un caffè al bar con un amico. Anch’io, come il pulcino, vorrei uscire. Essere fuori per non essere solo dentro. Siamo fatti di spazi e luoghi diversi, interni ed esterni, orientamenti e relazioni che connettono questi spazi e questi luoghi. La casa è l’interno della strada, la strada è l’esterno della casa, in un rapporto di reciproco scambio tra confini mobili.
In fondo, qui in casa, sono stato bene, in questi ultimi giorni forse un po’ meno, alla fine anche la casa stanca. Per la prima volta in vita mia ho utilizzato Skype, che esiste dal 2003, per comunicare con mia figlia e la mia nipotina Matilde alle prime parole. E le turbolente videochiamate con WhatsApp, le immagini ondeggianti, incontenibili e gracchianti, quasi volessero uscire fuori anche loro.
Ho visto film al computer annotati da anni in una lista mentale di attesa sempre rinviata. Come il fluviale e straordinario “Il distretto di Tiexi”, del regista cinese Wang Bing. Un genio, un uomo con la macchina da presa nei corpi e nella storia della Cina, finalmente visto grazie a Covid. L’apocalittico e avvolgente “Il cavallo di Torino”, del regista ungherese Béla Tarr . E’ stato un piacere nuotare in questi mari tutt’altro che calmi.
E poi a fare la spesa al supermercato, unica uscita settimanale. Un giorno quasi due ore di coda, la tipa con una chioma di capelli rossi fluenti da guerriera sempre davanti, pochi passi alla volta, non si è mai voltata verso di me. Ho fatto delle riprese con lo smartphone, fin dentro il supermercato, tra gli scaffali – pericolosamente, il cuore che mi batteva. E’ che le immagini sono sempre lì che chiamano, virus o non virus.
E poi i libri, che ho imparato a leggere al mattino presto a letto, subito dopo il caffè. Un’oretta. Un abitudine nuova, che vorrei conservare, perché a quell’ora anche le parole sono più fresche, come i pensieri e le voci. Un trascorrere sereno del tempo tra le pagine.
E infine l’immancabile casa di fronte, una mia piccola ossessione visiva. Non è cambiata, è la stessa casa che ho filmato nel 2010, cui ho dedicato un articolo in questo sito. Oggi è avvolta in un’aria più silenziosa e ha delle strane tracce nere su tutta la facciata che fino a un anno fa non c’erano. Per il resto, parla e tace come sempre. Noi siamo le case che abitiamo, che mostrano e non mostrano, con in mezzo delle strade.
Sì, lasciatemi uscire, ma non fatemi perdere. E soprattutto: non dimentichiamo.