Tanti, troppi incendi in questa rovente e secca estate 2017 di Caronte e Lucifero. Una vecchia storia senza fine, da Sodoma in poi. Uno sterminio protratto di esseri vegetali e animali e qualche volta anche umani. Un pezzo d’Italia e di mondo che serve solo per essere bruciato. Con centinaia e migliaia di ettari a colpo: per un milione complessivo negli ultimi dieci anni soltanto nel nostro paese, come se un nuovo Nerone avesse bruciato la Roma di oggi.
Non è solo una questione di clima, di caldo, di siccità. E tanto meno di piromani, di scintille scappate dall’officina, di mozziconi di sigaretta accesi o di marmitte surriscaldate. Qui è più che altro roba dolosa, roba di mafiosi, vendicatori, delinquenti, vandali. Il gesto non tanto di folli in libera uscita quanto di persone lucide e consapevoli, che agiscono per un interesse materiale, odiando la natura, i paesaggi troppo verdi, gli habitat protetti.
Risalire sugli alberi
E’ che abbiamo lasciato nello spopolamento e nell’abbandono montagne e colline, con i loro paesi, campi, boschi e foreste. Sono rimasti gli alberi, che non possono spostarsi, con il sottobosco incolto e denso, infiammabile come la carta. E’ in questo vuoto, in questa solitudine arborea, che scoppiano e divampano gli incendi criminali.
Il problema non è quanti canadair, elicotteri, vigili del fuoco servono, cioè un’ottica di pura emergenza, che chiede solo più mezzi sempre insufficienti. Il problema vero è la gestione del territorio, la prevenzione, la cura, la manutenzione. Il riappaesamento di territori spaesati. Gli incendi non sono imprevedibili come i terremoti. Si sa dove, come e quando colpiscono. Arrivano con il vento forte di maestrale e tutti lo sanno, li aspettano, quasi rassegnati. E alcuni si divertono a guardarli, come se fosse uno spettacolo.
Bisogna ritornare nei boschi e nelle foreste, nelle terre alte, proteggendo le vite (vegetali, animali e umane) che ancora le abitano e accogliendone di nuove. Risalire dalle pianure e dalle città su quegli alberi dai quali siamo scesi quando eravamo scimmie. Farsi albero, radice, ripristinare tessuti, relazioni, comunità.
Bisogna combattere il fuoco nemico con quello amico, il cosiddetto fuoco prescritto, una tecnica sofisticata che rende le foreste meno infiammabili e più resistenti. Bisogna poter tornare a dire un giorno, con Francesco d’Assisi, “Laudato si’, mi’ Signore, per frate focu, per lo quale ennallumini la nocte”.
Un incendio in Ogliastra
E’ il pomeriggio del 16 agosto, terz’ultimo giorno delle mie lunghe vacanze in Sardegna. Sto percorrendo in macchina la strada che collega Villagrande Strisaili a Tortolì, in Ogliastra, scendendo dalla montagna verso il mare. A un certo punto le colline intorno cambiano colore, da verdi diventano nerastre, rugginose, gialligne. Un paesaggio infernale, che prosegue ondeggiante per diversi chilometri, curva dopo curva. Sono le campagne di Tricarai bruciate dal furioso e vasto incendio del 25 luglio.
Poco più avanti, la strada incrocia i binari del favoloso Trenino Verde della linea Arbatax Mandas. In più punti l’incendio ha attraversato il sedime di questa antica e tortuosa ferrovia a scartamento ridotto, bruciando le traversine. Il bel casello in pietra n. 141, sfiorato dal fuoco, è rimasto integro, ma il trenino, a distanza ormai di oltre 20 giorni, è ancora soppresso.
Fermo la macchina in una piazzola stradale che è stata lambita dalle fiamme. Guardo incredulo la catastrofe, il cuore che mi batte forte. Poi scendo giù a fotografare. Si avverte ancora l’odore aspro del fumo, un calore ai piedi che sale dalla terra nera. This is the End, la famosa canzone dei Doors nella versione utilizzata in Apocalypse Now, il grande film di Coppola, perché un incendio è come una guerra. Una guerra d’estate, che sarebbe la stagione spensierata dei viaggi e dei riposi.
E’ come camminare tra delle rovine, con al posto delle pietre gli alberi scheletrici, i fichi d’india incartapecoriti, gli arbusti e il sottobosco ridotti in cenere. Un paesaggio spoglio, svuotato, una tavolozza dai colori spenti, desaturati.
Ma non si tratta di rovine e ceneri definitive. Le rovine, e ancor più le ceneri, sono tracce immobili, irreversibili, ciò che resta di quello che è stato e che non tornerà più. Un po’ come le fotografie. La natura è forte, “resiliente”, dopo la tempesta incendiaria tornerà presto a ricostituirsi, riattivando flussi, profumi, colori, vite. Quindi sarebbe più giusto dire This is not the End.
L’albero è il progredire del tempo, la genealogia che ha radici nella terra. Come l’uomo è un essere vivente proteso alla verticalità. Un incendio, che si sviluppa in orizzontale, può bruciare il legno, ma non il tempo. E anche il Trenino Verde riprenderà ad arrancare e ansimare in questi paesaggi impervi e meravigliosi.