Adolfo Pugliese (1934)
Adolfo Pugliese nasce a Milano in una famiglia ebraica. Il suo racconto dei Giorni di Liberazione inizia dopo i terribili bombardamenti dell’agosto del 1943, quando i genitori di Adolfo decidono di scappare nel comasco. Trovano casa a Moltrasio, un piccolo appartamento posto su una darsena del lago, che è anche il rifugio dei due “barchini” di legno posseduti dalla famiglia. A seguito del furto notturno dell’attrezzatura delle barche, il padre di Adolfo entra in contatto con il capo dei contrabbandieri locali, un certo Giuanin. Il primo incontro, inaffiato da “bicchierotti” di vino, avviene al “croto” Marianna. Pochi giorni dopo, sempre di notte, vele, timoni e remi ricompaiono in darsena, altrettanto silenziosamente di come erano spariti. Tra i due uomini nasce un’amicizia, che nel settembre del 1943 porta Giuanin ad accompagnare la famiglia di Adolfo, compresi tre nonni, nella fuga verso la Svizzera. Il confine apparirà loro dopo poche ore di sonno trascorse nel rifugio posto sulla cima del monte Bisbino.
“Dormita un’ora, siamo ripartiti all’una di notte e siamo arrivati nei pressi della rete di confine, che era in cima al Bisbino. A un certo punto si son sentite delle voci e il contrabbandiere, Giuanin, ci ha buttato per terra, con una certa violenza: “Silenzio”. Mio nonno il suo silenzio lo ha espresso con un “can dell’ostia” tipicamente veneziano. Giuanin è andato avanti strisciando per terra per vedere cosa erano quelle voci, che lui conosceva benissimo, tra parentesi. Poi è tornato camminando tranquillo, dice “Sono amici, sono amici, dai dai venite”. Siamo andati e gli amici erano delle guardie di finanza, in divisa e armate, che ci hanno accolto alla rete di confine, che loro avevano buttato giù per terra. Ci han fatto passar sopra alla rete di confine, ci hanno insegnato il sentiero che ci portava alla casermetta della polizia svizzera. Ci han detto di arrivare fino a lì e poi di consegnarci agli svizzeri.
Io non ho mai saputo cosa ci facevano dei finanzieri – armati, in divisa – a far scappare gli ebrei su per le montagne. A un certo punto ho cominciato a leggere un libro, sul 25 Aprile proprio, in tutta la Lombardia, il Piemonte, le montagne, i partigiani che son venuti giù dalle montagne (tutta storia abbastanza nota). In quel libro a un certo punto c’è scritto “In quei giorni siamo arrivati alla cosa incredibile che la Guardia di Finanza piemontese e lombarda, quasi tutta la Guardia di Finanza, in divisa e armata, eran tutti partigiani”. E così ci hanno dato una mano e ci han salvato la pelle.”
“Posso aggiungere un’altra cosa, sul giorno del 25 aprile. Io ero a Lugano, insieme alla mia famiglia. Andavo a scuola, facevo parte di una banda di ragazzini. I ragazzini allora vivevano in strada e se la godevano come potevano. Nel senso che io non avevo capito un tubo, perché avevo dieci anni, e quello che io sentivo dalla libera Svizzera per me era quasi un divertimento, perché a 10 anni… E sono andato in piazza, a Lugano. Tenete presente che io come scolaro della quinta elementare e poi della sesta elementare, la scuola di avviamento al lavoro, facevo parte anche della banda della e sono arrivato in piazza, dove c’era una folla enorme, che festeggiava la Liberazione.
I luganesi festeggiavano la liberazione italiana. E mi è capitato di vedere i gendarmi della libera Svizzera in azione, che per disperdere la folla cui loro avevano dato tutti i titoli possibili perché creavano disordine, han cominciato a girare in piazza con i manganelli di legno in mano, perché avevano i manganelli di legno a spaccarli sulla testa della gente. E ancora oggi per me è una visione che mi… non dico cosa succede dentro di me… ho visto sfasciare il cervello di uno dei manifestanti.
Nel ’45 siamo entrati da Chiasso, siamo tornati a Moltrasio a vedere cos’era successo. Chi c’era all’imbarcadero del battello con il quale siamo andati da Como a Moltrasio ? Sbarcati a Moltrasio, c’era lì ad aspettarci il Giuanin. Giuanin aveva salvato i mobili che mio papà aveva sfollato da Milano a Moltrasio. Noi eravamo scappati lasciando lì una signora iugoslava, che stava con noi in casa e che ci aiutava… La signora iugoslava perché le uniche persone che noi potevamo tenere a darci una mano erano stranieri, gli italiani non dovevano essere contaminati da noi ebrei.”