Visti di spalle è molto diverso, e forse anche più intrigante, di visti di fronte. Una persona vista da dietro nasconde principalmente il suo volto, la sua identità, mostrando la sua seconda metà che può essere osservata soltanto da altri. Potrebbe essere un uomo o una donna qualunque, essendo in alcuni casi incerta la stessa appartenenza di genere. O Dio, perché “Dio si presenta di spalle”, come ha scritto Edouard Boubat, grande fotografo francese del “vues de dos”. Esistere significa essere percepiti.
La figura di schiena costituisce un motivo ricorrente nella storia dell’arte, come viene ben raccontato e documentato dalla scrittrice Eleonora Marangoni nel suo libro “Viceversa, il mondo visto di spalle”. Si tratta spesso di persone immobili che osservano qualcosa – da una finestra, una montagna, un ponte, una panchina, un treno, un buco. Osservazione di un’osservazione, intrisa volentieri di melanconia e di un senso di attesa. Nella fotografia, ma soprattutto nel cinema, l’immagine di un protagonista ripreso di spalle appare molto meno distanziante e misteriosa, è corpo narrante “gettato” nel mondo. E’ una figura incalzata dalla storia, sua, degli altri e dall’ambiente in cui si muove, proprio come se questa storia gli premesse sulle spalle. E’ la cifra stilistica di grandi registi come Bela Tar, Wang Bing, i fratelli Dardenne, solo per fare qualche nome.
Quando cammino per strada sono non di rado attratto dalla vista delle persone che mi camminano davanti. Mi piace osservarle così, di spalle, cosa che assolutamente non potrei fare se le avessi di fronte. Lo sguardo frontale tra sconosciuti può essere solo sfuggente e di sbieco, quando c’è. A volte, se qualcosa d’imponderabile mi colpisce, fotografo o riprendo in video con lo smartphone, continuando a camminare, quella strana postura che deambula davanti a me. Di recente l’ho fatto persino con un cagnolino, la cui schiena probabilmente interessa pochi o nessuno. E’ che per qualche istante ci siamo guardati negli occhi stando fermi sul marciapiede, poi lui, prima di riprendere a trotterellare, ha fatto un cenno con la testa come per invitarmi a seguirlo.
Un mondo di spalle nello spazio pubblico
Visti di spalle sono sempre gli altri, di cui non sappiamo nulla, la dimensione della folla senza volto, del brulicare delle vite anonime intorno a noi. La schiena è un po’ un nascondiglio del sé, ma è nello stesso tempo l’esposizione di quella parte di noi completamente abbandonata allo sguardo altrui che meno possiamo controllare. Lasciata a se stessa, la schiena, a differenza del volto, non mente, per cui essa rivela nella stessa misura in cui nasconde.
Lo spazio pubblico della città è un insieme di luoghi di “apparizione” di una molteplicità pressoché infinita di persone viste di spalle, osservando le quali impariamo a conoscere meglio il mondo e a sentirci maggiormente legati agli altri. Le spalle anonime, che non vogliono dire nulla, avvicinano più dei volti, generando in me che le osservo come una sensazione di confidenza con l’altro sconosciuto, di empatia provvisoria a distanza. Due storie s’incontrano per caso, si toccano, si sfiorano, si lasciano dopo breve tempo, seppure per una di queste ciò accada del tutto inconsapevolmente.
Il mio primo vero e proprio “pedinamento” fotografico, cui altri seguirono, accadde un giorno di marzo del 2015. Era un’anziana signora che si muoveva tra le bancarelle di un mercato ambulante di Milano. Fui colpito dal suo abbigliamento un po’ antiquato, in particolare dalla vistosa coccarda bianca del copricapo. La seguii per tutta la durata della sua visita al mercato, fino alla fermata dell’autobus, dove sparì salendo sul mezzo. Non l’avrei mai più rivista, ma mi sono rimaste le sue immagini, come una specie di ricordo. Oggi potrebbe essere anche morta.
Non mi chiedevo, e tutt’ora non mi chiedo, chi fosse quell’anziana signora, da dove venisse, che volto avesse, che vita facesse. Semplicemente lei era diventata per me una presenza, un’apparizione. Un miracolo. Nel bel libro della Marangoni è riportata una citazione da Francis Scott Fitzgerald, che faccio mia. “Voglio semplicemente vedere come la gente cammina e di che cosa sono fatti i loro vestiti, le scarpe e i cappelli”.
Anziani in città
Visti di spalle sono per me, in primo luogo, le persone anziane, o comunque un po’ avanti negli anni, che camminano in strada. Hanno il mio passo, sono più facili da “inseguire” dei corpi giovanili, ma soprattutto mi paiono maggiormente espressivi, con quel loro muoversi incerto, prudente, a volte chiaramente difficoltoso. Su quelle spalle, non raramente incurvate, c’è tutta una vita, una lunga storia.
Ai pedinamenti milanesi sono poi seguiti quelli di Nuoro, la città in cui ora vivo. Tra il settembre 2021 e il giugno 2022 ho ripreso di spalle, con il mio smartphone, oltre 150 anziani intenti a camminare sugli spesso malconci marciapiedi del capoluogo barbaricino. E’ emersa una galleria di brevi ritratti volanti di donne e uomini osservati da una prospettiva insolita, che hanno originato il video di sintesi linkato in fondo all’articolo.
Cosa ci raccontano queste persone anziane in movimento viste da dietro? Possiamo certo cogliere e intuire qualcosa di ciascuna di esse, ognuna diversa dall’altra, come lo stato di salute, la prestanza fisica, la cura di sé attraverso l’abbigliamento. Potremmo anche inferire caratteri, stati emotivi, condizioni e stili di vita, persino pensieri. E immaginare delle storie, a partire da delle tracce.
Ma il vero fascino del visti di spalle è per me un altro. E’ la bellezza e la forza dell’anonimato, del non poter dire e sapere chi, del mistero dell’essere qualunque che accomuna tutte le schiene di questo mondo. Non si tratta di schiene deliberatamente voltate all’altro, che fanno muro, e nemmeno di schiene ridotte ad oggetto dall’ignoto sguardo altrui. Ciascuno è sempre visto da dietro da qualcun altro, di cui può a sua volta osservare le spalle. Lo sguardo sorvegliante e autosorvegliato è semmai forse più proprio dello sguardo che intercorre tra i volti. L’interesse delle immagini di soggetti visti di spalle risiede anche nel fatto di contrastare il predominio della rappresentazione frontale, che caratterizza il mondo contemporaneo della “selfizzazione” di massa. Narcisismo del volto contro l’umiltà della schiena, specie di quella anziana, che richiede ascolti pazienti e innamorati e una certa voglia di camminare.