La casa in questione è il palazzo posto di fronte al palazzo in cui io abito, a Milano. E’ la casa specchio su cui rimbalza ogni giorno il mio sguardo, che osservo e che mi osserva.
Mi è sempre piaciuto guardare fuori dalla finestra. E’ il primo gesto che compio al mattino appena sveglio. Il cielo, il palazzo, un pezzo di città.
Nel 2010, durante i mesi invernali, filmai di nascosto lo stesso palazzo. A quel breve e strano documentario diedi il titolo Una casa vista da una casa. Era per lo più di giorno, era il lato diurno delle tracce di vita colte sulla grande facciata del palazzo-specchio.
Ad osservarla con attenzione la facciata di una casa racconta, con le sue finestre i suoi terrazzi, molte cose di chi la abita. Lascia intuire delle storie, si anima di piccoli eventi, di gesti, di apparizioni e sparizioni.
Una casa, una notte, una voce
Tra settembre e ottobre del 2015 mi è tornata la voglia di esplorare ancora quel palazzo, il suo vestito esteriore, ma questa volta di notte, o meglio tra un po’ prima e un po’ dopo dell’ora della cena. Poi le luci si spengono, le tapparelle si abbassano, la casa diventa un’ombra indistinta e muta. Rimangono al più dei bagliori televisivi, dei riflessi stradali.
Una notte, giù nella via, un uomo ubriaco e forse anche un po’ matto urlava frasi incomprensibili, che sono diventate l’audio del video, conferendo alle immagini un certo senso di inquietudine. Adesso il titolo è diventato semplicemente una casa, come se la notte avesse tolto la “vista”, che in realtà si è fatta solo un po’ più clandestina, acuendo anzi l’atto stesso del guardare.
Come per il precedente documentario, continuo a pensare che il testo della facciata di una casa sia in realtà, con le sue frasi continuamente ripetute, un testo infinito, inesauribile, come sono del resto infiniti i molteplici testi della vita quotidiana che ci circonda. Ad essa mi piace rivolgere lo sguardo, cercando di coglierne almeno una piccola parte, dei frammenti, delle tracce di senso.