Sardinia Project è il nome della campagna di lotta alla malaria svoltasi in Sardegna tra il 1946 e il 1950. Ha forse questa denominazione inglese perché alla sua attuazione diede un contributo fondamentale, tecnico e finanziario, la Fondazione Rockefeller di New York. L’ America arrivava in Sardegna non come nemico, il chi “furat chie benit dae su mare”, ma come amico e salvatore, lo “zio” ricco che liberava i sardi da un male millenario. Sembra che la micidiale zanzara Anopheles sia sbarcata nell’Isola insieme ai Cartaginesi, per non andarsene più, seminando morte e malattie. Ma chissà, forse c’era anche prima, perché la zanzara vive sulla terra da diverse decine di milioni di anni, molto prima dell’uomo.
L’etimologia di “malaria” deriva dal medievale “mal aria”, che rimanda alla credenza popolare in base alla quale la malattia è originata dai miasmi emanati dalle acque stagnanti e putride delle paludi. Ancora oggi, a molti di noi, è venuto spontaneo chiedersi: “Ma non è che il Covid 19 giri nell’aria che respiriamo?” E’ la forza arcaica degli archetipi, di una minaccia oscura e invisibile che pone in crisi la presenza nel mondo, il senso. Non erano vapori, ma punture di zanzare portatrici di un parassita chiamato Plasmodium, quasi sempre femmine, che avevano bisogno dell’emoglobina contenuta nel sangue umano per nutrire le proprie uova. Anopheles incinte, zanzare madri.
Today Sardinia, Tomorrow the World
L’operazione Sardinia Project, ottimamente descritta in questo articolo, fu grandiosa, un’opera eroica, un intreccio di terre lontane, di saperi antichi e moderni, di superstizione e scienza. Arrivò a impiegare 30 mila sardi, portò alla luce 1.250.000 focolai, irrorò intere regioni della Sardegna con 5 milioni di litri di DDT. Costò molto, 11 miliardi di dollari, ma furono soldi ben spesi. L’ eradicazione della malaria in verità non fu totale, nel 1951 si registrarono 9 nuovi casi, ma del tutto residuali. La “sanificazione” chimica bonificò il territorio in vista delle successive dinamiche di sviluppo o meglio di una modernizzazione senza sviluppo. Nel giro di un decennio o poco più il volto della Sardegna risultò profondamente trasformato. Gli arenili malsani e infetti delle coste divennero incontaminati e si riempirono di turisti.
Sardinia Project fu anche un laboratorio del futuro: “Today Sardinia, Tomorrow the World” era il suo motto. Il mondo però non rimase a guardare. Negli anni ’70 la maggior parte dei paesi sviluppati, a seguito di denunce e proteste diffuse, mise al bando il tossico e cancerogeno DDT. Esso tuttavia trova ancora utilizzo per debellare gli stati malarici delle popolazioni più povere dell’Africa o delle zone tropicali. La vera malaria, da sempre, è la povertà.
Wolfang Suschitzy
Wolfang Suschitzy non fu soltanto un grande fotografo-cineasta, ma anche un uomo molto longevo. Morì nel 2016 alla bella età di 104 anni, riposando per sempre nel mare-archivio infinito delle sue immagini. In due di questi anni della sua lunghissima vita, 1948 e 1950, Suschitzy venne in Sardegna, terra di centenari, per documentare l’imponente campagna antimalarica in corso. Il suo impegno, sia come fotografo che come operatore cinematografico, portò alla formazione di uno straordinario patrimonio visivo, uno dei più importanti della Sardegna “vista” dagli altri.
Di particolare interesse è il documentario The Sardinia Project – prodotto nel 1948 dalla Shell Petroleum Company in collaborazione con l’ERLASS (ente regionale per la lotta anti-anofelica in Sardegna) – alla cui realizzazione Suschitzy partecipò come “cameraman”. Al di là dei suoi intenti informativi e pedagogici, si tratta di un vero e proprio documentario di antropologia visuale, che con riferimento alla problematica trattata non ha altri riscontri in Italia e forse neanche nel resto del mondo. Un film unico.
La mostra
Nel 2005, l’Istituto Etnografico di Nuoro (ISRE) acquisisce un “fondo Suschitzy” costituito principalmente da un corpus di circa 1000 fotografie realizzate durante la campagna Sardinia Project. Il 5 Luglio 2019 viene inaugurata la mostra fotografica “Wolf Suschitzy & The Sardinian Project” allestita dall’ISRE in un capannone dell’ex Artiglieria di Nuoro, una caserma militare costruita durante il periodo fascista. Il luogo giusto per una res gestae dal forte sapore militaresco.
La mostra è come una grande sinfonia visiva della miriade di luoghi infestati dalla zanzara malarica, che depone le larve in tutti gli spazi e anfratti possibili e immaginabili contrassegnati da una presenza anche minima dell’acqua. Il fascino e il valore delle immagini stanno proprio nella restituzione capillare e puntigliosa di tutte queste tracce ambientali, spesso nascoste e poco accessibili. Esse compongono una vera e propria mappa visiva della Sardegna di quegli anni, così bella, così povera. E’ una sorta di “grand tour” dell’Isola con alla guida una geografa d’eccezione: la zanzara anofele.
La memoria mancante
Sono quindi immagini della memoria dei luoghi, che è anche una memoria del DDT, altro grande protagonista di Sardinia Project. Venne irrorato persino nelle cucine e nelle camere da letto delle modeste abitazioni dei sardi. Era una sigla impressa con la vernice nera su di un muro insieme alla data di somministrazione, che ancora oggi può apparire di fianco all’ingresso di qualche vecchia casa abbandonata. Una “firma” cancerogena, ma nessun umano, così sembra, ne morì.
Dopo le luminose e illuminanti “etnofotografie” di Suschitzy, sulla lotta contro la malaria in Sardegna è caduto, salvo qualche sporadica manifestazione d’interesse, un lungo e sostanziale oblio. La bella mostra dell’IRSE interrompe questo silenzio, ma difficilmente farà dei vissuti e dei ricordi di malaria un possibile oggetto di nuovi racconti. E’ una memoria sociale mancante o mancata, i cui testimoni potenziali ancora viventi hanno oggi non meno di 85/90 anni.
Strano come un evento epico di “rinascita” di quelle dimensioni, di durata non effimera e radicato nell’esperienza diffusa, sia rimasto estraneo alle diverse forme di narrazione della cosiddetta identità locale. Giusto in questo 2020 cadrebbe il 70^ Anniversario della liberazione della Sardegna dalla malaria.
Quasi che il DDT avesse eradicato non solo la malaria, ma anche la memoria di chi avrebbe potuto parlarne, dicendo “Io c’ero”. E’ l’afasia di una rimozione collettiva già colta da Lawrence nel suo libro “Mare e Sardegna” del 1921. “Ai locali,” scrive Lawrence “non piace ammettere che c’è la malaria, ce n’è un pochino, dicono, solo un pochino. Appena si arriva dove ci sono gli alberi non ce n’è più. Cosi dicono”.