Enrico Casati (1936)
Mi chiamo Casati Enrico, sono nato a Varedo il 25 gennaio del ’36. I giorni della liberazione, a Paderno, mi ricordo di questi particolari. L’uccisione di un fascista nella piazza di Paderno, piazza Grandi. L’han portato lì su un camion, l’han tirato giù, c’era un sacco di gente, l’han messo al muro e l’han fucilato. L’han fucilato perchè aveva ucciso una persona dentro un cinema di Paderno. Ha fatto un’invasione, lì a Dugnano, ha sparato un colpo e il colpo ha ucciso una persona.
Gli americani, quando sono arrivati, sapevano che c’era in ballo questa fucilazione e quindi hanno abbandonato tutti i carri armati lungo il viale del cimitero. Sono andati in piazza per cercare di fermare la fucilazione, ma la fucilazione era già stata fatta. Allora io e il mio amico, Gino Voltolini, dopo aver assistito alla fucilazione, siamo andati a vedere nel primo carro armato della fila se c’era qualcosa da mangiare. Ho aiutato il mio amico ad entrare nel carro armato e lui ha cominciato a buttare fuori alcuni scatoloni. Dopo quattro o cinque scatoloni li abbiamo presi e ce ne siamo andati via per vedere che cosa avevamo preso. Erano tutte bende e garze, roba di medicazione, e di conseguenza non se n’è fatto nulla.
Mi ricordo anche che siamo andati in piazzale Loreto per vedere l’impiccagione di Mussolini, la Petacci, Farinacci. Eravamo sempre io e il mio amico Gino Voltolini. Siamo andati con una bicicletta piccola, da donna. A vedere l’impiccagione non abbiamo provato nessuna emozione particolare. Una cosa strana. C’era la Petacci con la gonna, che gliel’han legata, perchè altrimenti si vedeva… E poi tutti a testa all’ingiù, un casino di gente… Solo curiosità, semplice curiosità… Al ritorno abbiamo sbagliato strada e andavamo dall’altra parte di Milano, fino a quando abbiamo chiesto che strada dovevamo prendere per l’ospedale di Niguarda. Siamo arrivati a casa che era quasi mezzanotte. I genitori disperati in giro a cercarci, non sapevano dove buttare la testa per capire dove eravamo noi, avevamo dieci anni.
Nel nostro cortile, la court di casot, c’era un fascista, si chiamava Antonio Scurati. Lui abitava al terzo piano e l’hanno obbligato a buttare giù la camicia nera. Non si è affacciato lui, si è affacciata la moglie e ha buttato giù la camicia nera. Allora l’han preso e sono andati.
Un ultimo ricordo è del dopoguerra, quando tutti hanno abbandonato le armi. Le abbian trovate sotto le scuole elementari di Paderno, vicino alla stazione, lì c’era un mucchio di armi. Noi avevamo preso un paio di pistole e un fucile. Camminavamo nel paese, finchè ci ha fermato un tizio. Ci ha dato due schiaffoni, ha preso le pistole e il fucile e le ha buttate nel torrente Seveso. Ci ha dato una pedata nel culo e siamo andati via.