Gli oggetti della casa producono le ombre dell’abitare intimo. Una casa è un regno d’ombre più di quanto lo sia una strada, luogo di ombre pubbliche, di cui ci siamo occupati in un precedente articolo. Le ombre sono il respiro di una casa, il suo riposo, il suo specchio, la sua vita silenziosa. Una casa priva degli oggetti e delle loro ombre sarebbe una casa inabitabile, un deserto. Abitiamo le ombre perché le ombre ci abitano.
Se volessimo comporre l’album delle ombre che, a qualsiasi ora del giorno, abitano le nostre case sarebbe un album infinito, un’impresa pressoché impossibile. Grandi e meno grandi, piccole e minute ombre disseminate in ogni angolo della casa, immobili con la luce artificiale, in movimento con quella solare. Le ombre dell’abitare degli oggetti di una vita che è una casa, ora più nette e distinte, ora più tenui e sfumate. Soltanto sul mio tavolo, mentre scrivo alla luce di una lampada, ne potrei contare alcune decine. Poi spengo la luce e gli oggetti spariscono insieme alle loro ombre. Tutte le ombre e le luci tornano nell’oscurità da cui provengono. Come l’uomo, del resto, che viene dall’ombra.
Nella mia casa, le ombre casalinghe più belle e spettacolari dell’interno giorno e dell’interno anno sono quelle di un primo mattino d’estate. La luce del sole filtra attraversano le fessure delle tapparelle delle finestre abbassate per la notte, producendo strisce luminose che ricordano i nastri perforati delle pellicole cinematografiche. I fori di luce incisi danzano in senso orario in tutte le stanze della casa, ricamano gli oggetti, li sottraggono lentamente al buio, li animano con le loro ombre portate. Scivolano sui muri, sui pavimenti, sui tavoli.
Lo spettacolo, il tempo di creazione di un time-lapse, dura meno di due ore, poi il sole “gira”, tutte le ombre impallidiscono. In questo lasso di tempo, la casa e le cose di casa si raccontano in modo diverso. Un po’ come se volessero cantare e muoversi, richiamare con la loro “allegria” la nostra attenzione. L’incontro tra la pellicola di luce e le vecchie fotografie incorniciate emana qualcosa di magico, come uno scintillio del ricordo, un più di memoria. Una tenerezza.
“Ma perché poi piace tanto, a noi Orientali, la bellezza che nasce dall’ombra? Anche gli Occidentali sono vissuti per lunghi secoli senza elettricità, senza gas, senza petrolio. Non credo, però, che abbiamo mai amato l’ombra come noi” (J. Tanizaki, Libro d’ombra). E’ vero, in Occidente l’ombra è sinonimo del negativo, è vissuta come una minaccia, un’inciampo della visione. Per questo al silenzio delle ombre preferiamo il chiasso delle luci.
Finiti i passaggi di luci e di ombre, esco di casa. Cammino nella strada, dove incontro altre ombre, le ombre delle cose della città. Vivere è anche un continuo andare tra ombre, senza le quali non potremmo orientarci nel mondo.