Nei giorni della Liberazione di Milano, Ermanno Pozzoni (classe 1938) abitava in via Parmigianino. A due passi dalla casa scorreva il fiume Olona, ancora non coperto, luogo di bagni, giochi e avventure rischiose.

Ricordo che nel periodo della Liberazione, con l’incoscienza dei ragazzini, facevamo una gara di corsa dal portone del 13 al portone del 10 di via Parmigianino. Non sparavano più nella via, ma era comunque una sfida tra chi mostrava più coraggio. Poi mi ricordo che dove adesso c’è un supermercato all’angolo tra la via Trivulzio e la via Bezzi era piazzata una mitragliatrice, che aspettava l’arrivo dei fascisti in fuga. Tutta la gente intorno, che aspettava di vedere lo spettacolo. Era un periodo in cui la gente era fuori di testa.

Non ricordo se il 25 o il 26 di aprile, è arrivata tutta una colonna repubblichina da Novara diretta probabilmente in Valtellina, con le famiglie e i bambini. Sono entrati al 13 e hanno tirato fuori il tavolo che c’era in portineria. Lì una volta c’era una murella, adesso c’è un residence. Hanno messo la mitragliatrice sul tavolo e l’hanno scaricata contro la murella. E tutti che andavano nelle case per cercare dei vestiti civili e togliersi la divisa.

Un ricordo che mi è rimasto particolarmente impresso riguarda la mia portinaia, che era una donna molto prosperosa. Ha dovuto allattare due o tre bambini della colonna, perché le donne dallo spavento non avevano più latte. Contemporaneamente, nelle scuole di piazza Sicilia, c’era il comando dei partigiani, i quali si son ben guardati di uscire. La Resistenza sì, ma la pelle è la pelle. E i fascisti si sono a loro volta ben guardati di andarli a cercare.

Dopo è stata festa grande. Ad esempio, in via Correggio, non so se era diventata la sede del Psi, dove ballavano. In piazzale Brescia, dove c’era il comando tedesco, erano arrivati i polacchi, che avevano praticamente occupato la casa sull’angolo di via Domenichino. E quella è stata poi l’origine della mia prima fumata. Cerano gli americani, che buttavano cicche lunghe. Ormai era estate e si tenevano le finestre aperte. E noi sbarbatelli, quando buttavano le cicche, ancora accese, a tirare gli ultimi tiri.

Il mitico “Gamba de Legn” entra in Piazza De Angeli da Via Parmigianino (anni’50)

Giochi pericolosi

I tedeschi, prima di andar via, hanno buttato un frego di armi e munizioni nell’Olona, che allora era balneabile, perché noi facevano il bagno nell’Olona. Avevamo preso l’abitudine di andar dentro a prendere la roba, scaricare i proiettili e vendere i bossoli. Sennonchè un giorno una bomba a mano è scoppiata in mano a Luigi Gianoglio, che poi chiamavano “il manina”, perché aveva perso la mano in quel modo. C’era una ragazza, che abitava al quarto piano di casa mia, che aveva le gambe piene di schegge. Un mio cugino stava facendo la pipì nel vespasiano di piazza Ghirlandaio, però come facevano tutti i ragazzini non era dentro. Si metteva lì sull’orlo e pisciava là, perché a quell’età lì probabilmente aveva il getto lungo e anche lui si è trovato le schegge in una gamba. Allora abbiamo smesso di andare dentro nell’Olona.

Io avevo i nonni a Baggio, in via Camozzi, che chiamavano la “casa del mago”.  Avevo sei anni, prendevo il tram 34 e andavo a Baggio dai miei nonni per mangiare qualcosa. Là bene o male una foglia d’insalata e un uovo si trovavano. Qui non c’era neanche quello. Erano tempi balordi.

Il fiume Olona all’altezza di Piazza Domenico Ghirlandaio (anni ’50)