Come staranno le mie spiagge laggiù? Me lo chiedo spesso in questi mesi lenti di reclusione casalinga causata dalla pandemia, ma anche di cieli azzurri e puliti come non mai, qui a Milano, che fanno tanto pensare al mare. E’ il tempo dell’attesa e della nostalgia perché tutto torni come prima, come se il prima fosse il meglio. Bene, rispondono asciutte le spiagge, noi stiamo bene, e tu?
Laggiù è Orosei, costa centro orientale della Sardegna, le mie spiagge sono quelle della frazione di Sos Alinos con le sue meravigliose calette. Loro trascorreranno forse l’estate più bella e mai vista da quando negli anni ’70 del secolo scorso il turismo balneare di massa iniziò ad invadere gli arenili sardi. Perchè sono così pochi quest’anno?, si domanderanno. Meglio così. Potremo continuare a respirare, insieme ai gigli marini e alle altre vite vegetali dell’Elymeto, alle api e alle formiche e alle cicale. Non siamo fatte solo di sabbia, dicono le spiagge, siamo un mondo nel mondo. Noteranno qualcosa di diverso, che le farà un po’ sorridere: corpi e ombrelloni distanziati, dispenser, termoscanner, droni. Forse vedranno anche qualche bagnante smarrito con la mascherina antivirus sul volto al posto della maschera subacquea. E tu chi sei, cosa ci fai qui? Hai fatto il tampone? Il passaporto sanitario, prego, o almeno il braccialetto vibrante.
Sono spiagge di sabbia fine bianca che conosco bene, frequentandole da tanti anni. Miei luoghi dell’anima, anche d’estate, quando di anime in giro ce se sono decisamente troppe e i luoghi si ritirano, come storditi, ammutoliti. Allora, dalle undici del mattino alle sei del pomeriggio, la spiaggia diventa non luogo, propaggine urbana, rumore di fondo. Una piazza del Duomo. Allora è meglio, per i miei gusti, fare l’uomo che cammina e che guarda, un po’ sul margine, un po’ dietro gli alberi, piuttosto che l’uomo sdraiato o bagnato, l’uomo in pieno sole, in piena vista. Guardare dall’ombra, guardare le ombre facendosi ombra. Un “guardone” allo stato puro, ma per niente immorale od offensivo.
Un pieno d’immagini
La spiaggia d’estate è un paesaggio a forte densità iconica, un intreccio complesso tra il naturalistico e il simbolico, tra l’individuale e il sociale. E’ un pieno di immagini e di immagini di immagini, una proliferazione visiva alla quale mi è sempre difficile resistere. Non faccio solo l’uomo che cammina e guarda, ma più precisamente l’uomo che cammina e guarda con lo smartphone in applicazione video e modalità aerea. E via, mi bagno così, di clip in clip, come uno che si tuffa in quello che vede. Tutte le estati al mare mi prende questo tic e non so bene perché e non so cosa farci. L’ultimo naufragio è stato a Settembre dello scorso anno, sul finire di un’estate normale: oltre 400 clip in pochi giorni.
La spiaggia delle vacanze è una valigia colma d’immagini perché, insieme al mare con cui confina, è il grande “topos” dell’immaginario popolare e artistico. Del resto è nata con i quadri dei pittori olandesi del Settecento, e poi di Manet, Gauguin. E’ un’invenzione, una narrazione infinita. E’ il luogo del desiderio, come l’immagine.