Le ombre degli alberi attirano spesso la mia attenzione mentre cammino per le strade della città. Mi piace fermarmi ad osservarle e, a volte, fotografarle. Accade soprattutto nelle belle e limpide mattinate d’inverno, quando la luce cruda del sole proietta su asfalti, marciapiedi e muri le ombre degli alberi per lo più spogli delle foglie. Queste appaiono allora come un intrico di segni incisi, a trama ora più fitta e ora più larga, che subito si offrono alla vista come immagini emozionanti. Le ombre delle cose sono già delle fotografie, la fotografia di un’ombra è la fotografia di una fotografia.
Alle ombreggiature arboree distese lungo le strade preferisco quelle che si posano sui muri delle case. Mi sembrano più intime e intense, rafforzative del senso dell’abitare, espressioni di un legame tra esseri viventi diversi. Gli alberi di strada, con le loro ombre portate di rami e tronchi, si avvicinano silenziosi alle nostre case, le toccano, si fanno presenza di un’assenza, ci chiamano. Bussano alle porte, guardano attraverso le finestre, salgono sui terrazzi, come se volessero, seppure soltanto per breve tempo, dimorare con noi, condividendo le nostre pene. Alberi e ombre che rinfrancano e rassicurano, come in una bella poesia di Mariangela Gualtieri, contenuta nella raccolta Naturale sconosciuto, di cui riporto i versi iniziali. “Certi alberi vicini alle case/sostano in una pace inclinata/come indicando, come chiamando/ noi, gli inquieti, i distratti/ abitatori del mondo”.
Le ombre degli alberi sulle facciate delle case sono quindi ombre amiche. Appaiono e scompaiono, presenze fluttuanti ed evanescenti, ma sempre ritornano, fedeli, ricordandoci tutte le volte che non siamo soli al mondo.