La memoria del mare è oggi soprattutto quella portata dagli oggetti persi dai migranti naufraghi, che il mare trattiene e restituisce ai nostri sguardi. Diversi di questi oggetti sono stati fotografati, compaiono come immagini nel web, nei media, nelle mostre. Io stesso le ho utilizzate e rielaborate all’interno del mio video dedicato alla memoria dei tanti migranti desaparecidos nel Mediterraneo. Dal 2013, il collettivo Askavusa di Lampedusa si prende cura di tali oggetti rilasciati dalla memoria del mare, rendendoli visibili in un apposito spazio espositivo.
La vista degli oggetti migranti suscita una forte emozione. Sono le uniche tracce rimaste di uomini, donne e bambini morti mentre cercavano una vita più dignitosa scappando da miserie e persecuzioni. Esseri umani inghiottiti dalla barbarie umana ancora prima che dal mare in tempesta. Sono oltre 23 mila i migranti morti e dispersi nel Mediterraneo a partire dal 2014. Il mare nostrum è il mare cimitero degli stranieri senza volto.
Gli oggetti migranti sono i piccoli e banali oggetti della vita quotidiana: una maglietta, una scarpa, un biberon, un pacco di spaghetti, una foto, una borsa. Li conosciamo bene, li vediamo ogni giorno nelle nostre case, sono parte di noi. Senza essi non potremmo vivere.
Più sono piccoli, più parlano, perché più silenziosi, più intimi e legati al corpo. La forza comunicativa di questi oggetti risiede nel loro mutismo, nel loro semplice mostrarsi ai nostri sguardi, interrogandoli, rivivendo con noi. Sono memorie, relazioni importanti, con cui costruire un futuro diverso, senza più oggetti resi orfani dallo sradicamento e dalla violenza.
“Accogliere un altro soltanto per la sua presenza, in nome della sua esistenza” (Edmond Jabès, Il libro dell’ospitalità). Soltanto in nome del suo pettine, che è anche il mio pettine.