Gli storni arrivano puntualissimi, con il sole appena tramontato, poco prima che si accendano i lampioni dell’illuminazione stradale. Arrivano a gruppi, a folate improvvise, saettando sghembi nel cielo limpido e violaceo di queste fredde sere d’inverno. C’è anche la luna lassù, che guarda. Precipitano impazziti, come se dovessero schiantarsi al suolo. Atterrano invece, con una brusca frenata, sugli alberi della città scelti come dimora notturna, posandosi sui rami, a iniziare da quelli più alti, l’uno accanto all’altro. Platani, per lo più, non del tutto spogli, anzi alcuni con un fogliame ancora compatto, che fanno parte di una selezione molto ristretta operata chissà con quali criteri. Forse in base alla temperatura, al senso di protezione, all’illuminazione – chissà. Una scelta che può cambiare da notte a notte.
A volte, un gruppo appena disceso abbandona d’improvviso l’albero, schizzando in alto o di lato per ricomporre la stessa forma “a nube” con cui era giunto, ma speculare e dal movimento opposto rispetto alla prima. Risucchiati dall’aria, dalla voglia di andare, sempre. E io sono lì, sotto e tra gli alberi dormitorio, che li aspetto e li riprendo dal basso con lo smartphone.
Gli storni prendono rapidamente possesso degli spazi arborei, sembrano disporsi secondo un ordine prestabilito, dettato forse da regole gerarchiche: gli anziani sopra e i giovani sotto, per dire. O i primi arrivati in alto, gli altri ai lati. Ogni uccello ha “un suo ramo e un suo posto sul ramo”, come osserva il signor Palomar di Italo Calvino. Danno l’idea – tanto appaiono lesti e precisi – di una pattuglia di soldati che occupa una postazione nemica senza trovare resistenza. Gli alberi, poverini, mugugneranno per il fastidio subito con l’invasione di questi uccelli prepotenti e chiassosi, nonché dalle deiezioni abbondanti, ma non possono farci nulla. Tanto, diranno gli alberi, a fine febbraio se ne vanno. Per la maggior parte sono infatti migratori, tornano ogni anno da dove sono venuti, le terre del nord e dell’est Europa, per accoppiarsi e riprodursi.
Sempre in movimento
Anche ora che gli storni stanno per andare a dormire, continuano a muoversi, svolazzando tra i rami, con le loro ombre che scivolano sulle facciate delle case rischiarate dalle luci della città. E’ che la vita degli uccelli non è altro che puro “moto”, come già diceva Giacomo Leopardi nel suo splendido Elogio degli uccelli (1824). “Veggono e provano nella vita loro cose infinite e diversissime. Esercitano continuamente il loro corpo. Abbondano soprammodo della vita estrinseca”. La vita estrinseca degli uccelli è la vita in quanto tale, il vivere la vita abbandonandosi ad essa, alla pienezza del mondo, e nient’altro. E’ un abitare l’aria, l’aperto, il movimento, in cui gli storni sono maestri insuperabili, quando al crepuscolo, radunati a migliaia in formazione stormo, disegnano in cielo quelle stupefacenti nuvole dalle forme mutanti e danzanti, che incantano per la loro bellezza. Uccelli prestigiatori, gli storni misteriosi, che la vita sembrano godersela davvero.
Qualcosa di molliccio mi si spiaccica su una lente degli occhiali. Colpito! Saranno anche dei maghi, ma “svuotano” parecchio, a raffica, e per questo molti li odiano, li vorrebbero veder morti. Il marciapiede è tappezzato di coriandoli di guano biancastro, come un prato fiorito di margherite. Ma gli storni degli umani se ne fregano, proseguono imperterriti nel loro cinguettio convulso, veemente, come se dovessero dirsi le ultime cose prima del sonno o soltanto per giocare. Una comunità di esseri viventi felici, socievoli e collaborativi. Non conoscono la solitudine, la morte.
Gli storni finalmente tacciono, riposano, grappoli di ombre nere, che danno forma come ad una composizione scultorea un po’ inquietante. Forse stanno già dormendo, chissà se sognano. Dal loro arrivo è trascorsa una mezz’ora scarsa. Hanno compiuto il rito di preparazione alla notte piuttosto in fretta, sempre cinguettando e fischiando, padroni assoluti del posto e della situazione. Si risveglieranno prima dell’alba, affamati. Spiccheranno il volo – sempre a gruppi, perché non fanno nulla da soli – diretti verso le campagne alla ricerca di cibo. Mi piacerebbe esseri lì, sotto quegli stessi alberi, per osservare il momento della loro partenza, ma per me è troppo presto. Ci rivedremo semmai al tramonto.